Ritmi che scolpiscono anime
Posted on October 9th, 2003 at 10:01 PM | Tags: Esperienze | 0 CommentsCi sono momenti in cui la musica non è solo suono, ma sangue che scorre nelle vene,
e il suo battito non lascia scampo #
Quando penso a S., il suo nome non è solo un suono, è una presenza. Non una presenza eterea, ma una cosa carnale, viscerale, che ti invade e ti lascia segni che non se ne vanno mai. L’ho conosciuto in uno di quei luoghi dove il battito della musica diventa una seconda pelle. E lui era il battito. La scena techno di fine anni ’90 era il suo regno, e non c’era luogo che potesse contenere la sua passione. Conosciamo tutti quei nomi, quelle leggende: Ricky Le Roy, Franchino, Zicky il giullare. Ma erano loro ad ispirarlo, a scuoterlo, non il contrario. S. non cercava di somigliare a nessuno, era puro, era la sua identità che bazzicava tra i bassi e le luci stroboscopiche.
Immagino ancora le serate di danze scatenate, corpi che si muovevano come un solo organismo pulsante. C’era lui, sempre al centro, con quella risata che partiva dal cuore e arrivava fino ai piedi. Lo guardavo mentre si preparava a saltare sul palco, gli occhi verdi che brillavano nella penombra della discoteca, e capivo che non c’era niente che potesse fermarlo. La sua energia era un’onda che travolgeva chiunque. E quando Ricky metteva le mani sui giradischi, lui partiva in prima fila, come un soldato pronto alla battaglia della notte.
Franchino, con la sua voce che sembrava far tremare la consolle, era un maestro. Quella voce non era solo un suono, era un’arma. Franchino non cantava, faceva rivivere il battito della pista. Ogni parola che usciva dalla sua bocca sembrava scolpire la nostra anima. E S., sempre lì, a seguirlo con il corpo e con gli occhi, era il primo a scatenarsi sulle sue tracce. Ogni movimento di Franchino era una promessa di libertà, e S. viveva quella libertà come se fosse l’unica cosa che contava. Poi c’era Zicky il giullare. Che caos, che esplosione di energia quella sua! Le sue risate risuonavano come un’eco selvaggia. Zicky era il disturbo in un mondo che non si fermava mai. Era il tocco di follia che rendeva ogni notte unica, un mosaico di attimi indelebili. Le sue imitazioni di Ricky ci facevano scoppiare a ridere, ma non si trattava solo di follia.
Era un grido di libertà, un invito a non prendersi troppo sul serio in un mondo che ci vuole tutti uguali. E Ricky, oh Ricky… Il re dietro i giradischi, il maestro che ci faceva volare senza alzarci da terra. Ogni traccia era un viaggio senza ritorno. Quando Ricky Le Roy iniziava a mixare, non importava dove fossimo, non importava chi eravamo. Tutto svaniva, e c’era solo lui, il suo battito che diventava il nostro. La sua presenza dietro i giradischi era una certezza, una promessa che quella notte sarebbe stata diversa, che ci avrebbe portato lontano. S. e G., quei due erano sempre un passo avanti. Avevano le cassette prima che arrivassero a tutti. Il radar della musica, avevano il fiuto per ciò che sarebbe stato.
Quelle cassette erano il nostro tesoro, il nostro passaporto per una realtà che era più di un semplice suono. Quando S. le metteva, ti sentivi come se avessi scoperto qualcosa di segreto, qualcosa che ti dava potere. E a volte, quando guardavo quei momenti, mi chiedevo se fosse davvero possibile fermare il tempo e restare in quella musica per sempre.
La luce fioca della cucina si mescola con l’odore della polvere che si alza dalla strada e si mescola al caffè, ed è come se ogni singola particella di quest’aria mi riportasse indietro, nei club affollati, tra le luci psichedeliche, alla notte senza fine. Come se non ci fosse un domani. Chi saremo, quando tutto questo sarà solo un ricordo? Come può la memoria trattenere qualcosa che non ha mai avuto tempo di esistere, ma che è rimasto impresso come un marchio sulla pelle? La musica ha questo potere, quello di fermare il respiro e farci sentire vivi. Ma cosa resta quando tutto svanisce? La musica stessa non si dimentica mai, ma le persone sì, come ombre che si dissolvono.
Cosa ci resta davvero, alla fine? Forse, la musica è l’unica cosa che ci permette di vedere il mondo attraverso gli occhi di qualcun altro. Ma cosa accade quando quei suoni svaniscono? Quando l’ultima traccia è suonata, quando l’ultima risata di Zicky se n’è andata con la notte? La musica è il nostro respiro, ma è anche la nostra fine. Cos’è che ci rende veramente vivi, se non il bisogno di fermare il tempo e gridare di essere qui? Eppure, quel grido svanisce, come tutto. E allora, rimane il silenzio. Quel silenzio che è la risposta a tutte le domande che non siamo mai riusciti a fare.
Background musicale: Mario Più / Mauro Picotto – Imperiale (per te S., chissà se te la ricordi questa traccia) La sera in cui scrivo queste righe, il mio caffè è caldo. Il vapore sale nell’aria con un’aroma che mi avvolge, ma io non riesco a non pensare a quei giorni.