Blah, blah, blah

Blah, blah, blah

Posted on December 6th, 2008 at 1:30 PM | Tags: | 0 Comments

C’è un ronzio che non lascia spazio #

Oggi è una di quelle domeniche in cui tutto sembra pesare un po’ di più. L’aria è ferma, impregnata di un silenzio che non dà tregua, come se anche il mondo fuori stesse trattenendo il respiro. Mi siedo accanto alla finestra, il caffè ormai freddo accanto a me. Ma non è di lui che sento il profumo.

Il legno della sedia emana un aroma antico, come se avesse assorbito ogni frammento di storia che il tempo ha lasciato dietro di sé. Mi appoggio allo schienale e chiudo gli occhi. La stanza è vuota, ma c’è qualcosa di vivo nell’odore della cera, nel lieve crepitio del parquet sotto i miei piedi. Apro un libro che non leggo da anni. Le pagine ingiallite hanno un profumo tutto loro, un misto di carta e polvere che sa di nostalgia. «Perché il tempo ci costringe sempre a scegliere cosa ricordare e cosa dimenticare?» mi domando, mentre le dita sfogliano lentamente quelle righe dense di storie.

Fuori, un corvo si posa sul ramo di un albero spoglio. È immobile, come se il gelo gli avesse rubato ogni possibilità di movimento. Le sue piume brillano di una luce nera e fredda, quasi crudele. Non posso fare a meno di pensare a quanto assomigli alla mia mente oggi: intrappolata, sospesa in una staticità che sembra eterna. Mi alzo e prendo un foglio bianco. La penna tra le dita è pesante, quasi quanto i pensieri che voglio mettere su carta. «Le parole, quelle vere, hanno ancora senso?» scrivo, senza aspettarmi una risposta.

I ricordi scivolano come ombre sul muro. La mia vita è stata un susseguirsi di voci, alcune dolci, altre taglienti, tutte inevitabilmente temporanee. Eppure, ci sono silenzi che durano più di qualsiasi parola. È in quei momenti che mi chiedo se il mondo che ho costruito dentro di me sia davvero il riflesso di quello fuori. Mentre la penna scivola sul foglio, penso a George Michael e a quella sua melodia che sembra un sussurro lontano: «One More Try». È strano come certe canzoni non invecchino mai, come se il tempo avesse deciso di risparmiarle. La sua voce mi ricorda che anche nelle rovine si nasconde la possibilità di ricostruire.

Guardo di nuovo fuori. Il corvo non c’è più. Il ramo è vuoto, e per un istante, anche la mia mente si alleggerisce. Forse è questo che devo fare: accettare il vuoto, abbracciare l’incertezza, e lasciare che ogni domanda rimanga aperta. Allungo la mano verso il caffè, ma non lo bevo. Non ha più sapore, né calore. Tuttavia, il gesto è familiare, rassicurante nella sua banalità. «E se il senso fosse nascosto proprio in questi atti così piccoli e insignificanti?» penso, mentre un debole sorriso si forma sulle mie labbra.

Ogni parola che scrivo oggi sembra fragile, quasi inutile. Ma forse non è la forza a renderle importanti. Forse è la loro capacità di rimanere, nonostante tutto. Alla fine, siamo noi a dare peso al silenzio o alle parole. E allora, chiudo gli occhi e mi chiedo: tu cosa ascolti quando tutto tace?

Remember me,
Eclipse


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