La Voce della Generazione Perduta
Posted on March 24th, 2018 at 1:14 PM | Tags: | 0 CommentsOggi, il mondo è testimone di un atto di determinazione, un’espressione viscerale di un’epoca che chiede risposte. Dopo la tragedia di Parkland, una marea di giovani ha riempito le strade degli Stati Uniti, inondando le piazze di una rabbia misurata e di una speranza ardente.
La storia che sto per raccontare non si legge sui giornali. Non si sente in televisione. È una di quelle storie che si vivono, si soffrono. Ti marchiano. Succede davanti agli occhi e non si può ignorare. È il 24 marzo 2018. Un giorno come tanti, ma con un senso di pesantezza nell’aria. Il mondo sembra trattenere il respiro, mentre in America accade qualcosa di inedito.
Sono lì. Non fisicamente, certo. Ma ci sono volte in cui le notizie ti colpiscono come pugni, e ti ci ritrovi in mezzo. Come fai a rimanere distante? Davanti a quella folla di ragazzi, così giovani eppure così vecchi. Vecchi per la paura che portano sulle spalle. È assurdo. Incredibile, quasi. Giovani che dovrebbero pensare al futuro, ai sogni, all’amore, invece si trovano a combattere contro un nemico senza volto. Un nemico che ha tolto loro amici, fratelli, sorelle. E ora sono in strada, urlando per essere ascoltati. La chiamano la «March for Our Lives». Strana scelta di parole, se ci pensi. Marciare per cosa? Non per le armi, no, ma per vivere senza la minaccia costante che un fucile automatico possa interrompere il battito del cuore. È questo che chiedono. Ma le risposte dove sono? Si alzano promesse, si scrivono articoli, si organizzano dibattiti. Ma nel profondo, sai che nessuno sa cosa fare davvero. E questa incertezza fa più paura delle armi stesse.
C’è qualcosa di crudele nel vedere questi ragazzi costretti a combattere per una causa che non avrebbero mai dovuto affrontare. La gioventù dovrebbe essere leggera, piena di sogni e speranze, e invece questi giovani si portano dentro un peso che non si dimentica. Le loro mani alzate, i cartelli in cui chiedono una vita sicura. «Basta!», gridano, «Vogliamo vivere». E dentro quelle parole c’è un urlo che viene soffocato, ogni giorno, dalle discussioni inutili, dalle leggi che non cambiano, dalle promesse vuote.
Mi chiedo: dove siamo arrivati? A cosa serve tutto questo? Le parole di chi è al potere risuonano vuote. Si ascoltano, ma non capiscono. come non capiamo noi europei. Ma come si può capire, davvero, la paura di chi vive con l’incubo che un giorno, in una scuola, in un cinema, in una chiesa, qualcuno possa portargli via la vita in un istante? Non c’è risposta a questa domanda. Non ce ne sono mai state. Certo, anche in Europa succedono, ma non frequentemente come negli Stati Uniti.
Questi ragazzi hanno volti, fermi, decisi. Qualcuno piange, qualcuno grida. Altri, silenziosi, camminano come se fossero in guerra. Una guerra senza divise, senza nemici tangibili. Una guerra contro l’indifferenza. Ma il silenzio, alla fine, è quello che pesa di più. Il silenzio di chi non sa cosa fare. Di chi guarda, di chi osserva, di chi promette cambiamenti, ma poi non muove un dito. E loro, intanto, continuano a marciare. Non sono americana. Non vivo la loro realtà, ma la sento. È difficile non sentirla, quando si tratta di vite spezzate. È difficile non provare empatia quando si vede l’ingiustizia. Quando vedi che la voce di questi ragazzi è la voce di una generazione intera che chiede solo una cosa: di essere ascoltata. Ma siamo davvero capaci di ascoltare? O forse ci piace solo sentire il rumore del vento che soffia, sperando che porti via tutto? Mi domando se fossi lì, cosa farei? Marcierei anche io, o mi nasconderei tra la folla, osservando, senza dire una parola? È una domanda a cui non so rispondere. Forse nessuno sa. Ma una cosa la so. Quei giovani, con il loro coraggio, mi fanno riflettere. E mi chiedo: quando la lotta sarà finita? Quando smetteranno di essere costretti a marciare?
Con questo non voglio fare un discorso politico. Non voglio cadere nella retorica. Voglio solo raccontare una storia che mi ha colpito profondamente. Una storia di giovani che, nonostante la loro età, si trovano a dover affrontare una realtà che nessuno dovrebbe vivere. Una realtà fatta di paura e incertezza, dove ogni giorno è una lotta per la sicurezza e la speranza. Questi ragazzi, con il loro coraggio e la loro determinazione, mi hanno fatto riflettere su quanto sia importante ascoltare e comprendere le loro richieste. Non si tratta di schierarsi da una parte o dall’altra, ma di riconoscere il valore della vita e il diritto di ogni individuo a vivere senza paura. Credo fermamente che ognuno di noi abbia il potere di contribuire a un mondo migliore. E questi giovani, con la loro marcia, ci mostrano la strada da seguire.
Background musicale: “Imagine” di John Lennon