Siamo pronti a riscrivere la nostra mente?

Siamo pronti a riscrivere la nostra mente?

Posted on November 20th, 2018 at 3:30 PM | Tags: | 0 Comments

Mi siedo, il caffè davanti a me si raffredda piano, come ogni volta che mi perdo in un pensiero troppo grande da afferrare. Oggi, parlo di cervello, di ciò che siamo, o meglio, di quello che possiamo diventare. La chiamano plasticità cerebrale, quella capacità straordinaria della nostra mente di adattarsi, di mutare, di trovare nuovi percorsi quando quelli vecchi si spezzano. Mi viene in mente la prima volta che ho sentito questo termine. Era il 2010, un articolo di una rivista scientifica, dimenticato in sala d’attesa del mio dentista. Pensavo fosse una di quelle teorie belle a parole, ma difficili da provare. Ora, però, nel 2018, la scienza ha finalmente dimostrato ciò che sospettavamo da tempo: possiamo davvero cambiare.

C’è una scoperta recente, affascinante. Alcuni ricercatori hanno trovato un modo per stimolare il cervello e favorire il recupero da traumi o malattie neurodegenerative. Pensa, un mondo dove non esiste più il concetto di “danno irreversibile”. Ogni cellula, ogni connessione, può essere ricreata, riscritta. È come se il cervello fosse un terreno fertile, pronto a rigenerarsi quando necessario. Eppure, c’è qualcosa di inquietante in tutto questo. Ci dicono che possiamo cambiare, che possiamo migliorare. Ma a quale prezzo? Mi domando se ci sia un limite a tutto questo. Possono davvero tutte le ferite essere guarite? La scienza continua a sfidare i confini, e con essa la nostra idea di umanità.

Nel mio caffè vedo riflessa la mia immagine, e mi chiedo: cosa accadrebbe se potessimo cancellare i ricordi, come si riscrive un disco rigido? Saremmo ancora noi? Sarei ancora io, se potessi dimenticare il dolore che mi ha formato, le cicatrici che mi definiscono? La neurobiologia moderna ci mostra che ogni esperienza lascia un segno, una traccia indelebile nelle nostre sinapsi. Ma se avessimo il potere di cancellare quei segni, cosa rimarrebbe? Le neuroscienze ci stanno offrendo una libertà mai vista prima. Ma la libertà ha sempre un costo. I ricercatori parlano di un futuro in cui i nostri cervelli saranno programmabili. I limiti fisici che ci hanno sempre definito, le malattie che ci hanno afflitto per secoli, potrebbero presto diventare un ricordo del passato. Ma cosa accadrà quando la scienza avrà il controllo completo della nostra mente? Siamo pronti a vivere in un mondo dove il confine tra naturale e artificiale si dissolverà completamente?

Inizio a sentire il gelo di questa realtà. Potremmo riscrivere i nostri pensieri, cancellare le sofferenze, le paure. Ma è davvero ciò che vogliamo? Senza dolore, senza errori, senza memorie imperfette, cosa rimarrebbe di noi? Forse un mondo perfetto, dove ogni uomo è una macchina perfetta, capace di ogni cosa, ma incapace di sentire davvero. Mi ricordo quando lessi la prima volta di Phineas Gage, quell’uomo a cui una sbarra attraversò il cranio, distruggendo parte del suo cervello e trasformando completamente la sua personalità. La sua storia ha dato origine agli studi sul cervello umano. Ma oggi, con i progressi della scienza, Phineas potrebbe tornare ad essere “normale“. La sua personalità ricostruita. Eppure, chi sarebbe veramente, a quel punto? Sarebbe ancora lui, o solo una versione artificiale di sé stesso?

Mi alzo, il caffè ormai freddo. In questo mondo nuovo che la scienza ci promette, c’è una linea sottile tra la cura e la creazione di qualcosa di completamente diverso. Possiamo guarire, ma possiamo anche perdere noi stessi. La plasticità cerebrale ci insegna che il nostro cervello non è statico, non è immutabile. Ma questo significa che neanche la nostra identità lo è. Mi chiedo spesso dove ci porterà questa strada. La medicina progredisce, e noi diventiamo sempre più padroni del nostro destino. Ma il controllo totale della mente, dell’identità… È davvero il sogno che vogliamo realizzare? C’è una strana ironia in tutto questo. Combattiamo contro le malattie, contro la fragilità umana, ma nel farlo rischiamo di perdere ciò che ci rende umani.


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