Oltre confine
Posted on March 12th, 2020 at 9:17 AM | Tags: Resilienza | 0 CommentsOggi 11 marzo 2020, l’OMS dichiara ufficialmente lo stato di pandemia. Non è più una crisi confinata in una regione lontana. Ora ci siamo tutti, dentro lo stesso incubo. Le parole di Tedros Adhanom Ghebreyesu mi colpiscono come uno schiaffo: «118.000 casi in 114 paesi. 4.291 persone morte». Cifre che sembrano astratte, finché non senti che uno di quei numeri potrebbe essere qualcuno che conosci.
Amsterdam è calma, ma c’è una tensione nascosta tra i canali. Cammino lungo il Prinsengracht, ma non è più lo stesso. Ogni passo sembra più pesante. Mi guardo intorno, cercando volti familiari, ma vedo solo occhi sfuggenti, mascherine improvvisate. C’è una sensazione di incompletezza che mi soffoca. Un’inquietudine che cresce dentro di me ogni giorno che passa.
Gli italiani qui sono preoccupati. L’Italia è già in ginocchio, i miei amici a Milano mi mandano messaggi sempre più disperati. I numeri crescono, ma nessuno sembra capire davvero cosa significhino. «Siamo bloccati in casa» mi scrivono, «e fuori è il vuoto». Mi chiedo: quanto tempo ci resta prima che anche qui accada lo stesso? Quanto tempo prima che questo invisibile ci chiuda tutti dentro un’ombra che non conosciamo?
Le notizie continuano ad arrivare. La Francia si prepara, la Germania conta i primi morti. Eppure, sembra che tutti qui stiano ancora cercando di vivere come se nulla fosse cambiato. Ma io lo sento: è già tutto diverso. Anche il cielo sembra più grigio, più opprimente. Mi chiedo quando sarà il nostro turno.
Mark Rutte parla di misure necessarie, ma non ancora definitive. “Non è il momento di panico” dice. Ma io non mi fido. Sento che qualcosa di più oscuro ci attende. Mi sorprende quanto velocemente il mondo possa capovolgersi. Fino a pochi giorni fa, tutto sembrava normale. Adesso, ogni notizia è un’altra scossa.
Ho paura. Non tanto per me, ma per chi amo. Per quelli che sono lontani. Per quelli che sono soli in ospedale, senza respiro. E per quelli che non sanno cosa li aspetta domani. Questo virus è come un predatore silenzioso, che si muove tra noi senza che possiamo vederlo. Eppure, sento il suo respiro dietro ogni angolo, nei corridoi vuoti, nelle strade deserte.
Ci sono stati altri momenti nella storia in cui il mondo si è fermato così. Ma questa volta è diverso. Questa volta siamo tutti connessi, eppure incredibilmente isolati. Paradossale, no? La tecnologia ci tiene uniti, ma non può abbracciarci, non può consolarci. Ci manda solo dati, cifre, statistiche fredde. Ma dove sono le persone dietro quei numeri? Dove sono le voci, i volti?
Mi fermo davanti ad una finestra illuminata. Una famiglia cena insieme, ignara del fatto che tutto sta per cambiare. O forse lo sanno, ma stanno cercando di ignorarlo. Non possiamo ignorare quello che sta succedendo. Non più.
Ogni giorno diventa un’attesa. Ci prepariamo per qualcosa che non possiamo fermare. I confini chiudono, i voli si cancellano, e l’aria stessa sembra più pesante, come se anche lei portasse il peso di questo silenzioso assassino.
E ora, mentre mi siedo qui, davanti la mia scrivania, mi chiedo: cosa verrà dopo? Quando tutto questo sarà finito, saremo gli stessi di prima? Oppure, come il mondo, ci trasformeremo in qualcosa di nuovo, qualcosa che ancora non comprendiamo del tutto?