Vagheggiare
Posted on August 5th, 2004 / Curiosità / 0 CommentsNon è colpa del cielo se gli occhi dell’uomo non sanno guardarlo
Non ci sono parole inutili. Non ci sono parole che si possono ignorare o deridere solo perché sconosciute. Le parole esistono, hanno un peso, una storia, un suono che scivola nella bocca e si posa nella mente. Eppure, c’è sempre qualcuno pronto a ridere di ciò che non conosce, a scartare l’ignoto come si scarta una lettera mai aperta. “Forse tu stai vagheggiando” hanno scritto, ed ecco il dileggio, la risata superficiale, l’ignoranza che si fa scudo della sua stessa pochezza. “Forse tu stai vagheggiando”, non solo è corretto, ma è anche estremamente elegante, colto, evocativo. “Vagheggiare” è un verbo. Un verbo vero, antico, italiano. Non l’ho inventato io, non l’ha inventato la notte o il vento. Lo hanno usato poeti, scrittori, uomini e donne che della parola facevano un’arma ed un rifugio. Lo ha usato Foscolo, lo ha usato Leopardi, lo ha usato chi sapeva che immaginare non basta, che sognare non è sufficiente. Vagheggiare è desiderare, contemplare, tendere verso qualcosa con un’adorazione quasi estatica. È più di un sogno, più di un’illusione. È la proiezione di ciò che si vorrebbe afferrare, ma che rimane oltre le dita.
Eppure, c’è chi si arroga il diritto di giudicare la lingua senza conoscerla, chi crede che l’italiano si esaurisca nelle parole che usa ogni giorno, chi pensa che il vocabolario sia un menu a scelta ridotta. Chi ride davanti a un verbo che non capisce è chi ha smesso di imparare. E chi ha smesso di imparare ha già perso.
Ridete pure, voi che vi nutrite di poche parole, voi che confondete il sapere con il possedere. Ma ricordate: la lingua non è vostra, non è mia. È di chi la rispetta, di chi la interroga, di chi la porta oltre il confine della banalità. È di chi, con un solo verbo, può costruire un universo. E posso perfino capirla, l’ignoranza. Posso comprenderla quando viene da chi non ha mai letto oltre le righe, da chi si è fermato al bordo del significato senza mai tuffarsi nel senso profondo delle cose. Posso capirla quando appartiene a chi non ha strumenti per guardare più in là. Ma da chi si appropria delle parole e del lavoro altrui, da chi si vanta di ciò che non ha creato, da chi copia e pretende, non accetto lezioni. Perché chi ruba non ha più diritto di parola. E chi si circonda di difensori a comando, di voci che si alzano solo per fare eco a una menzogna, non può certo parlare di coerenza.
E quanto a noi, ai miei amici, a chi condivide questo spazio con me, non c’è niente da difendere. La verità non ha bisogno di scudi, perché non si spezza, non si piega, non crolla sotto il peso di accuse vuote. Noi siamo qui, interi, senza maschere. E chi ha bisogno di mille facce, chi si mette privato, sa già di aver perso la partita prima ancora di giocarla.
Remember me,
Eclipse.