Mood

La mia stanza non è solo un luogo. È il mio universo, un angolo intimo dove tutto prende forma, si mescola e si trasforma. Ogni oggetto che la abita ha una sua storia, ogni luce è un riflesso del mio pensiero. Lì, l’oscurità diventa luce, e la scienza incontra il passato. Non è solo un riparo, è una dichiarazione, un viaggio che non si ferma mai. La lampada Philips che cambia colore con il battito dei miei pensieri e il Google Home che modula la musica che accompagna ogni angolo di questa vita sono parte di una coreografia silenziosa.

Nel cuore di questo spazio, ci sono immagini che guardano nel vuoto, fissano l’infinito. Einstein e Hawking sembrano osservare tutto, con il loro sguardo enigmatico, mentre una foto di un’eclisse lunare cattura l’istante in cui l’universo si ferma, sospeso tra l’inizio e la fine. La stanza è costellata di ricordi di un’epoca che non c’è più. Oggetti degli anni ’80 e ’90, curiosità e tesori di un tempo che continua a vivere in me. Ogni singolo pezzo è un segno, una traccia, una rivelazione nascosta.

Eppure, il mio amore per la scienza non è solo un interesse: è la linfa vitale che alimenta ogni riflessione, ogni passo che faccio. Non è un’ideologia, è un fuoco che brucia. Una passione che mi attraversa, che mi costringe a cercare, a spingermi oltre, a voler capire un mondo che si rivela spesso incoerente, disordinato. E questi oggetti, questi suoni, sono il riflesso di quella ricerca incessante.

La luce che cambia, la musica che fluisce, sono come le oscillazioni del mio cuore. In questa stanza ogni cosa è segno di qualcosa di più profondo, ogni ombra proietta una parte di me, di ciò che ancora non capisco o di ciò che cerco senza mai riuscire a possedere completamente. Quegli oggetti che sembrano semplici, invece, sono la mia dichiarazione. La scienza è ben visibile in questo spazio, ma c’è sempre qualcosa di irrisolto, un mistero che rimane sospeso. Un angolo nascosto, una domanda a cui non è mai stato dato spazio.

E tra tutte le cose che la stanza custodisce, c’è una parte di me che non è ancora tornata. I dinosauri. Da piccola avevo un’enciclopedia che li celebrava, una collezione che parlava di loro come un piccolo mondo di meraviglia. Li ho lasciati in cantina, in Italia, lontano dalla mia vita di oggi. Non sono pronta a recuperare quei frammenti. Ma sono lì, sempre presenti nella mia mente, come un capitolo incompleto della mia infanzia. Una fase che, però, ha segnato l’inizio del mio viaggio, la spinta verso una passione che non si è mai placata.

E tra la musica che scivola nell’aria, il suono che segue la luce, c’è qualcosa di indescrivibile. È un mood che definisce ogni angolo della mia stanza, ogni spazio che occupo. Ogni oggetto è una parte di un puzzle che non si risolve mai del tutto. Non c’è nulla di disordinato in questo caos apparente. C’è solo un frammento del mio viaggio, del mio io in divenire. Un diario visivo e sensoriale che racconta senza dire troppo, che sussurra, che invita a riflettere.

È la mia ricerca, la mia essenza che si manifesta. Ma nessuno potrebbe mai comprendere davvero. Perché non c’è un finale a tutto questo. Non c’è una risposta. È il percorso, l’incessante domandarsi che definisce chi sono. Ogni passo è una domanda che mi porto dentro. E quel cerchio che continuo a disegnare nella mia mente, non è mai destinato a chiudersi. Come potrebbe chiudersi un pensiero che non smette mai di evolversi? La stanza continua a respirare, ed io con lei, senza mai fermarmi.