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Un mondo in silenzio

Le campane suonano lente, una melodia che scivola nell’aria come un sussurro di addio. Oggi, a Londra, il mondo si ferma: i funerali della regina madre Elizabeth. Un evento solenne, carico di quella pesantezza che si prova davanti a ciò che è irrimediabile. Mi lascio attraversare da questa atmosfera, mentre le immagini scorrono davanti a me: la folla che riempie le strade, i volti segnati dal tempo e dalla devozione. Il silenzio che sembra avere un peso.

Mi chiedo, con una stretta al petto, cosa ci lega davvero a chi non c’è più. È il ricordo, o forse l’idea di ciò che ci ha lasciato? Una figura come la sua, simbolo di un’epoca, ci tocca nel profondo perché rappresenta qualcosa di più grande di noi. Ma, allo stesso tempo, quella stessa grandezza sembra metterci a nudo. La guardo, ora immobile nella sua maestà. E mi chiedo: «Quanto sappiamo davvero di lei, oltre il titolo, oltre la leggenda?». Era una regina, ma prima di tutto era un essere umano. E lì, in quel dettaglio, c’è tutto. L’intero pianeta osserva, con rispetto e con quel senso di vuoto che lascia ogni addio. Forse è questo il punto: la morte di un simbolo è sempre un monito. Ci ricorda quanto sia fragile tutto, quanto siano effimeri i titoli, le parate, i poteri. E allora mi domando: «Cosa ci rimane quando la grandezza si spegne?».

La regina madre è stata un faro di stabilità, ma chi può davvero sentirsi stabile oggi? Le certezze sono diventate ombre che si dissolvono troppo in fretta. Guardando quella cerimonia, non posso fare a meno di chiedermi: «Se fosse stata una persona comune, avremmo pianto nello stesso modo?». Siamo abituati a idolatrare, a costruire altari per chi, in fondo, non è diverso da noi. Eppure, la morte è uguale per tutti. Le bandiere che sventolano, il silenzio che si insinua tra i passi lenti del corteo: ogni gesto è perfetto, ogni dettaglio calibrato. Ma tutto questo non è forse una maschera? Un modo per non guardare in faccia la nostra fragilità? Viviamo in un mondo che ha bisogno di miti per non affrontare le sue debolezze. E la verità è che, quando la corona cade, rimane solo l’essenziale: chi siamo e cosa abbiamo lasciato.

Spero che chi oggi piange non dimentichi quanto è stato dato. Non basta piangere. Non basta il tributo di un giorno per onorare un’esistenza. Ciò che resta deve diventare un invito all’azione. La regina madre ci lascia una lezione che il mondo si ostina a ignorare: nessuno di noi è eterno. Eppure, nel riconoscere la nostra finitezza, possiamo trovare un senso più profondo. Questo funerale è un riflesso di ciò che temiamo: la fine. Ma non è anche un nuovo inizio? La sua morte ci spinge a guardare oltre, a chiederci: «A chi dobbiamo ancora credere per sentirci uniti?». E soprattutto: «Quando inizieremo a vivere senza bisogno di simboli, ma con la forza della verità?». Il mondo, oggi, è in silenzio. Un silenzio che parla.

THE END.
Remember me,
Eclipse

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