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Un Gioco Senza Fine

C’è un momento, ogni giorno,
in cui ci accorgiamo che il mondo non ci ha mai chiesto il permesso di entrarci dentro #

Ogni cosa che faccio è intrisa di una rabbia sottile, come se le mie mani fossero costrette a toccare un mondo che non mi appartiene più. Il cucchiaio che sollevo dalla tazza è solo un pezzo di metallo che fa il suo lavoro, ma il mio pensiero è altrove, nella polvere che s’insinua nei meandri delle crepe. La cucina, la mia cucina, è il mio rifugio e la mia prigione. Il profumo del rosmarino che appoggio sulle patate non mi riscalda, non mi consola. È un odore che potrebbe essere più deciso, più pungente, se solo il mondo intorno a me fosse più vivo, più consapevole. Invece c’è solo un silenzio vuoto, che diventa sempre più assordante.

Sono sempre stata un passo dietro a me stessa, una spirale di frasi che non sono mai le mie, ma che mi sono state imposte. Da piccola mi dicevano che dovevo essere perfetta. Non so quante volte ho ascoltato quella parola, «perfetta», risuonare come un mantra, una condanna. «Devi essere migliore, devi sapere di più, devi rispondere subito, non devi mai fallire». Ma non mi hanno mai detto come fare. Mi hanno messo al centro di una corsa a perdifiato, una competizione che non ho mai scelto, ma alla quale sono stata costretta a partecipare. Ogni volta che guardavo un adulto, vedevo il suo giudizio, l’attesa di un fallimento che non si vedeva mai, ma che dovevo sempre temere.

Ora, guardando l’orizzonte di Milano, vedo solo una distesa di volti senza volto, di persone che continuano a giocare al solito gioco. Giocano a chi è il più forte, a chi è il più saggio, ma il premio non è mai la verità. È la conferma di un sistema che ci sta sopra, un sistema che ci imprigiona. La politica, la religione, la cultura: sono solo strumenti che ci fanno sentire impotenti, colpevoli, ma mai veri protagonisti. Perché è più facile dare la colpa agli altri che guardarsi dentro.

E in tutto questo, la domanda che mi tormenta è sempre la stessa: dove sono i veri colpevoli? Non sono quelli che parlano, che si ergono come fari di verità, quelli che ci dicono come dobbiamo vivere e pensare. No, loro sono solo il riflesso. I veri colpevoli sono quelli che tirano le fila da dietro il sipario, quelli che non hanno nome, che si nascondono nel buio, mentre noi continuiamo a lottare tra di noi. Perché non ci rendiamo conto che il gioco è truccato, che la colpa non è nostra, ma ci viene appiccicata addosso da chi non vuole che vediamo oltre?

Mentre mastico un boccone di pane, il suono della mia bocca che si chiude e si riapre è l’unico segno di vita che c’è intorno a me. L’aria fredda di febbraio entra dalla finestra e mi fa stringere le spalle. Eppure, dentro di me, c’è solo una domanda che non vuole andare via. Perché siamo costretti a restare nel nostro angolo, a subire il peso di qualcosa che non abbiamo scelto?

Non so se troverò mai una risposta. So solo che ogni giorno questo gioco mi sembra più stretto, più insopportabile. E la verità? La verità è che non ho mai smesso di cercarla, ma ogni volta che penso di essere vicina, scivola via come sabbia tra le dita. La domanda rimane sospesa, nell’aria: «Chi ci sta davvero governando?»

I volti intorno a me non sono mai quelli giusti, sono solo i riflessi di una realtà che non voglio vedere. Forse non c’è un’unica risposta, forse è proprio il gioco che ci tiene imprigionati, sempre pronti a girare in tondo.

La verità, forse, è che non voglio smettere di cercarla. E tu, sei pronto a cercarla con me, anche quando il gioco è così pericoloso?

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