
Un Dialogo con il Silenzio
Posted on April 6th, 2009 / Esperienze / 0 CommentsLa terra ha gridato, e la nostra voce è rimasta soffocata nel fragore delle macerie #
Il mondo si è fermato alle 3:32 del mattino. Una scossa ha strappato il silenzio della notte, e con essa, ha strappato la vita a 309 persone. La città ha tremato, lacerata da un dolore che non ha parole, mentre io scrivo davanti a questo schermo, cercando di mettere ordine in un caos che non trova senso. Ma nessuna parola, nessuna frase, può davvero restituire la forza di quella scossa, l’orrore di quelle ore interminabili, l’incubo che si è impossessato delle strade, dei volti, dei corpi.
La terra ha ruggito, ha invocato la nostra fragilità, e noi, uomini e donne, abbiamo assistito inermi, come marionette di fronte a una forza che non possiamo controllare. L’Aquila, è diventata un cumulo di polvere e ferro arrugginito. Ogni pietra che crolla, ogni angolo che si sgretola, è un ricordo che svanisce. La paura ha preso il posto della familiarità, e ci ha lasciati a chiedere: «Perché?»
L’odore di macerie impregna l’aria. Non è come il fumo delle sigarette o il profumo della terra dopo la pioggia. È un odore crudo, di ferro piegato, di calcinacci che cadono, di morte che si diffonde come un’ombra. Eppure, la gente continua a camminare. Camminiamo in un mondo che sembra non essere più il nostro. La polvere copre i volti, ma non basta a nascondere la paura. Ogni passo è un peso, ogni respiro è un atto di coraggio. Mi fermo un attimo. Guardo fuori dalla finestra, il cielo è azzurro, ma tutto sembra sospeso, come se il mondo stesse aspettando qualcosa. Cosa aspetta? Cosa deve accadere perché questo dolore smetta di essere invisibile?
La gente è disperata, ma ancora vive, si aggrappa alla speranza. Ma a cosa serve sperare quando non si sa nemmeno cosa stia succedendo? Perché nessuno ci ha avvertito? Perché nessuno ci ha detto che il nostro mondo, quello che davamo per scontato, era così fragile? La notte si è trasformata in un incubo, e io non riesco a togliere dalla mente l’immagine di chi non ce l’ha fatta. 309 vite, famiglie distrutte, sogni frantumati in un batter d’occhio. Come si fa a convivere con una perdita così grande? Come si fa a guardare il mondo e credere che abbia ancora un senso?
Siamo diventati spettatori di una tragedia che non possiamo fermare, ma che non possiamo neanche ignorare. Mi chiedo se siamo stati preparati a questo. Siamo davvero pronti ad affrontare l’inimmaginabile? Mi sento come se fossi stata risucchiata in un vortice che non ha via d’uscita. Non c’è spazio per la normalità in un momento come questo. Non c’è spazio per le piccole cose quotidiane che prima occupavano la nostra mente. Ogni gesto sembra inutile, ogni pensiero un peso. Ma poi, c’è quella scintilla di speranza che, nonostante tutto, ci tiene ancora in vita. Un gesto di solidarietà, una parola di conforto. Sono questi i momenti in cui mi chiedo se davvero esista qualcosa di più grande, qualcosa che dia senso a tutto questo dolore. La fede, forse, è quella piccola luce che ancora non possiamo spegnere, nonostante il caos che circonda. Ma questa fede è messa alla prova, e io non ho risposte. Solo domande.
Ti guardo, mondo, e non so più se ti amo o ti odio. Ci hai dato tanto, ma ci hai tolto troppo. Così com’è, tutto sembra incompleto. Cosa resta dopo tutto questo? Qual è la risposta? Guardando questa città ridotta a rovine, guardando i volti dei sopravvissuti, mi rendo conto che nessuno, nemmeno io, sa cosa fare con questo dolore. È troppo grande per essere compreso, troppo vasto per essere contenuto. Eppure, la vita continua. Si cammina tra le macerie, si cercano pezzi di una normalità che sembra ormai lontana. Ma la vita è anche questo: un passo dopo l’altro, senza sapere dove stai andando, senza sapere se arriverai mai da qualche parte. Cosa resta davvero quando tutto sembra crollare? Qual è la forza che ci permette di alzarci, anche quando non c’è più nulla su cui poggiarsi?
E se la risposta non arrivasse mai? Che faremo allora?
Ogni descrizione ha un senso. Ogni parola ha un peso.
Con tutto il mio ardore,
Alice
The End.
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