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Sospesa tra due mondi

Vivo nel silenzio di un orologio che non si ferma mai, dove le mani scorrono veloci e la testa corre per inseguirle. Milano è il mio battito quotidiano, il respiro che mi tiene viva nei suoi suoni incessanti, tra luci accecanti e strade che non si fermano mai. Eppure, ogni venerdì, trovo una via di fuga, una terra di nessuno dove fermarmi: Genova. Lì, la città respira più lentamente, e il mare racconta storie che non hanno mai bisogno di finire. In ogni onda c’è un rimpianto che non può essere colmato, in ogni vento una solitudine che ti accoglie senza parlare, ma che non ti lascia mai davvero. E in quel vuoto di domenica, trovo un angolo di pace.

Il mio corpo non riesce mai a stare fermo, le mie radici non si ancorano mai davvero. Milano è la città che mi fa crescere e mi fa perdere, Genova è la città che mi tiene sospesa, come un respiro trattenuto. Tra questi due mondi, io vivo, divisa, senza un punto fermo. Mi chiamo Alice e ogni giorno è una corsa tra due città, tra due modi di essere, tra due vite che non riescono mai a mescolarsi davvero. Ma forse è proprio questo il mio posto: non nel luogo, ma in quel continuo movimento, in quel flusso che non ha fine. Chi vive così capisce che la divisione è l’unica verità che ci resta, che la stabilità non esiste, e che ogni casa è solo un’illusione. Sono una tifosa della Sampdoria. E sì, lo so che può sembrare strano, che qualcuno possa trovare rifugio in una squadra di calcio. Ma per me è così. È l’unica cosa che rimane uguale, che non cambia mai. Ogni domenica, quella maglia blu mi ricorda che, nel turbinio di emozioni e cambiamenti, ci sono cose che rimangono. La passione per la squadra, per il gioco, per il suo rumore che mi avvolge e mi fa sentire che tutto è possibile, che anche nel caos c’è un senso. Ma è una passione che mi svuota, che non mi dà risposte. Ogni vittoria è una breve parentesi, ogni sconfitta una porta che si chiude, lasciandomi fuori.

Quando la vita mi sfugge di mano, quando sento che il respiro mi manca e il vuoto mi invade, mi rifugio nelle parole. Nei libri, nei racconti di chi è riuscito a raccontare ciò che io non riesco a dire. Ma le parole non bastano mai. Sono solo uno specchio, e ogni specchio rimanda l’immagine di un vuoto che non riesco a colmare. Eppure, mi immergo nella musica. Ogni canzone è un respiro che trovo, ogni nota è una carezza che mi riporta a casa, anche quando non so dove sia. La musica non mi salva, ma mi fa sentire che c’è ancora un’altra via da percorrere, un altro passo da fare, una domanda che non ha mai risposta. Ci sono emozioni che non si toccano. Nonostante tutte le fughe, tutte le città, tutte le parole, rimangono con me. Non posso liberarmene. Come il mare di Genova, che cambia continuamente ma rimane uguale, sempre uguale. E io, tra il mare e la musica, tra la mia vita divisa, mi chiedo se esiste davvero un “io”. Forse sono solo un insieme di frammenti che si sovrappongono, senza mai trovare una forma definita, senza mai capire se è tristezza o bellezza ciò che mi attraversa. Ma è la mia verità, ed è l’unica che ho. E non c’è nulla di più reale di questo.

C’è una magia nel vecchio e nel nuovo, nel restare e nel partire, nel cercare e nel lasciarsi andare. Ma se la bellezza è solo un’illusione, cosa resta davvero? Forse la bellezza è solo una ricerca, e la ricerca è la nostra compagna. Eppure, il dubbio resta: forse non è la ricerca che ci salva. Forse è la consapevolezza che la risposta non arriverà mai. E se non c’è risposta, allora cosa rimane? Un passo dopo l’altro, senza sosta, senza un punto fermo. E mi chiedo se sarà mai abbastanza. Fuggiamo per paura o per speranza? E se non fossimo mai pronti a fermarci davvero?

THE END.
Remember me,
Eclipse

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