Perché? Il Volo 261

Perché? Il Volo 261

Posted on January 31st, 2000 at 10:33 PM | Tags: | 5 Comments

Oggi, mentre ascolto le notizie, vengo travolta da un’onda di sgomento. L’aereo. Ancora un aereo. Questa volta è il volo 261 della Alaska Airlines. Lo sento pronunciare dal giornalista con una freddezza che mi spezza il cuore. Le sue parole tagliano come un bisturi: un incidente aereo al largo delle coste della California. Ottantotto vite stroncate. Ottantotto anime spezzate in un istante, lasciando dietro di sé un silenzio assordante. Penso a quei passeggeri. Immagino le loro ultime ore, le loro ultime speranze, i loro sogni ancora intatti mentre si imbarcano su quel volo, ignari di ciò che li attende. Ogni volta che salgo su un aereo, mi trovo a riflettere sulla fragilità dell’esistenza. È come giocare una partita con il destino. Mi affido a quella macchina volante, stringo la mano del fato e lascio che mi conduca attraverso il cielo. Ma oggi, questo cielo si è rivelato un carnefice. Il pensiero va a chi resta, ai familiari che ora piangono, ai cuori spezzati che non troveranno pace. L’aereo che cade non uccide solo chi è a bordo. Strappa via la felicità, distrugge vite, sgretola famiglie. Vedo le loro lacrime, le sento scendere come pioggia battente. E non posso fare a meno di domandarmi: perché?

Ricordo quando, anni fa, ho volato su un piccolo velivolo in mezzo a una tempesta. Il cielo era cupo, il vento ululava come una bestia feroce. Ogni turbolenza mi faceva stringere i denti, ogni vuoto d’aria mi faceva sentire il battito del mio cuore rimbombare nelle orecchie. La paura era un demone invisibile, che si insinuava nella mente e nel corpo. Eppure, quel giorno sono atterrata, sono tornata a casa. Ma quei passeggeri del volo 261 no.

C’è una crudele ingiustizia in tutto questo. La vita, con le sue strane leggi, decide chi vive e chi muore, senza un perché, senza una ragione. La sofferenza diventa parte del nostro tessuto umano, una cicatrice che portiamo dentro di noi, visibile o meno. Siamo tutti feriti, in un modo o nell’altro, da tragedie come queste. Ci ricordano la nostra vulnerabilità, ci costringono a confrontarci con la nostra mortalità. Mi chiedo cosa pensavano quei passeggeri nei loro ultimi momenti. La paura, il terrore, la disperazione. Li vedo aggrapparsi a quel poco di speranza rimasta, pregando per un miracolo che non arriverà mai. Ogni persona a bordo aveva una storia, un mondo intero dentro di sé. Madri, padri, figli, amici. Ogni vita una pagina di un libro interrotto.

Non posso non pensare a noi, osservatori distanti, che guardiamo il telegiornale e poi andiamo avanti con le nostre vite. Ma oggi, io non riesco ad andare avanti. Oggi, il peso di questa tragedia mi schiaccia. Mi ricorda quanto tutto sia effimero, quanto ogni attimo sia prezioso. E allora, scrivo. Scrivo per ricordare, per dare voce a chi non può più parlare. Scrivo per esprimere il dolore, la rabbia, la frustrazione. Scrivo perché è l’unico modo che conosco per cercare un senso in mezzo a tutto questo caos. Oggi, mentre ascolto le notizie, sono Eclipse, con il cuore pesante e l’anima in tumulto. Oggi, piango per il volo 261 della Alaska Airlines e per tutte le vite che ha portato via con sé.

5 Responses


  1. Mat

    Com’è possibile che tutto possa finire così, da un momento all’altro? Mi fa sentire così piccolo.

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  2. Mal

    Non riesco a immaginare cosa stessero provando quei passeggeri, sapere che il loro tempo stava per finire. È troppo. Mi fa male solo pensarci

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  3. Giorgio

    Mamma mia, leggendo questo mi sono sentito come se fossi lì, su quell’aereo. Non ho mai volato, ma adesso non so se lo farò mai… è tutto così fragile

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  4. Axiel

    Sai, di solito quando sento storie così cambio canale. Non ci voglio pensare. Ma questa volta, non posso farlo. Questo pezzo mi ha davvero colpita

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  5. Elisa

    Non so perché, ma leggere questo mi ha fatto venire voglia di scrivere. Scrivere per cercare di capire, come fai tu. Magari aiuta a dare un senso a tutto questo. Sono una tua nuova lettrice, provengo dal blog di Axiel

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