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Ogni Pensiero Conta, Veramente

Cucino. Ma in realtà sto attraversando me stessa. Ogni volta che taglio l’aglio non sto solo affettando una radice, sto incidendo le ore, sto entrando in un varco, uno di quelli che si aprono solo quando sei sola, davvero sola, e non hai più scuse, né ruoli da interpretare. L’olio caldo non è più solo olio: è il tempo che sfrigola, che prende fuoco sotto le dita, è la nostalgia che si fa aroma, che si fa fumo, che si attacca ai capelli, ai muri, alle ossa. Il profumo mi precede, mi circonda, mi annienta. Diventa carne, pelle, memoria. Non sto cucinando. Sto cercando un punto fisso in un mondo che non smette di scivolare. Nel silenzio della cucina, sento il battito del mio stesso cuore. Ogni piccolo rumore è amplificato, ogni cucchiaio che batte sul bordo è una voce che non riesco a zittire. Fuori, la pioggia ha cominciato la sua danza sottile, ma è dentro che il temporale si fa più vero. Le gocce sul vetro sembrano ticchettare il tempo, scandirlo con una dolcezza crudele. La strada là fuori è un fantasma sfocato, ma io sono viva. Qui, in questo momento. Le mie mani si muovono con lentezza, come se sapessero che tutto si riduce a questo: il gesto che salva, il gesto che tiene a bada il caos. Ogni movimento ha un peso, un’intenzione che non riesco a spiegare. Ogni volta che affondo il cucchiaio nella salsa, è come se scavassi dentro un ricordo, dentro un frammento che ancora brucia. Il basilico sprigiona il suo verde brillante, quasi beffardo, e mi ricorda che la bellezza a volte è solo una coincidenza, un attimo che si fa sentire e poi svanisce. C’è una poesia in tutto questo, ma è una poesia che non consola, che non offre abbracci, che si limita a restare lì, sospesa, a guardarti mentre cerchi di capire. E io non capisco. Eppure continuo.

C’è una tensione che si allunga tra un gesto e l’altro, tra un pensiero e la carne che si cuoce. È come se stessi cercando un ritmo che non riesco mai ad afferrare. L’acqua evapora e con lei svaniscono anche le illusioni, le immagini perfette che non tornano mai. Non voglio salvare nulla, non voglio nemmeno capire. Voglio solo che questo momento sia reale, che lasci una traccia. Una traccia mia, anche se impercettibile. Anche se nessuno la vede. Anche se scompare domani. Ci sono giorni in cui cucinare è l’unico modo che ho per restare intera. Ogni volta che accendo il fuoco, accendo anche qualcosa che avevo provato a dimenticare. E non riesco a spegnerlo più. Il profumo del pomodoro che si apre nell’olio bollente, il rumore sordo dell’acqua che bolle, la pasta che danza come se volesse sfuggire, tutto mi parla con un linguaggio che non ha bisogno di parole. È lì, e basta. E io sono lì con lui. In ogni gesto metto dentro qualcosa di me. La parte che nessuno vede. Quella che ride da sola, che piange in silenzio, che resta sveglia a fissare il soffitto. Quella che non si arrende. Perché no, non mi arrendo. Anche se ogni giorno è uguale al precedente, anche se l’eco del mio passaggio si spegne prima ancora di farsi voce. Anche se il mondo dimentica. Io continuo. Ogni volta che taglio, che mescolo, che assaggio, sto dicendo: esisto. Non sono scomparsa. Non sono diventata invisibile. La lotta non ha sempre un grido. A volte è solo una forchetta che affonda in un piatto caldo, un piatto cucinato per sé stessi, come ultimo atto di tenerezza. È la decisione di non lasciarsi andare, di rimanere in piedi mentre tutto si sgretola. È quel momento in cui, anche se nessuno lo vede, tu sai che non ti sei lasciata vincere. E quello, anche se piccolo, anche se invisibile, è un atto di resistenza. È un atto d’amore.

Il piatto è pronto. Il profumo invade la cucina, si mescola all’aria umida, al cielo grigio che sembra voler inghiottire ogni cosa. Ma io respiro. Profondamente. E sento che qualcosa, anche se impercettibile, si è mosso. Una parte di me ha trovato un varco. Una fenditura in cui lasciar passare la luce. Non so se tutto questo sarà ricordato. Ma non importa. Non è per essere ricordata che lo faccio. È per non dimenticare me stessa. Ogni pensiero che nasce mentre cucino è un frammento di qualcosa che non so nominare. È una memoria che non ha volto, una nostalgia che non ha casa. Eppure, è tutto. È la mia pelle, il mio tempo, la mia fame. Non solo di cibo, ma di senso, di pace, di qualcosa che tenga insieme tutto quello che sembra cedere. Ogni riflessione è un seme, ma so bene che non tutto germoglia. A volte si pianta solo per non impazzire. Per credere che, forse, domani sarà diverso. C’è un vuoto che resta, dopo. Un vuoto che non si può riempire con il cibo né con le parole. È un vuoto sacro, che contiene tutto ciò che manca. Che dà spazio a ciò che potrebbe essere. Ed è lì che mi fermo. Nel vuoto. In quella sospensione che non ha fine, né inizio. In quel silenzio che non giudica, che non chiede. Che semplicemente accoglie. E lì, senza un vero perché, resto. Come una porta che non si chiude mai. Come un respiro che continua, anche dopo la fine.

Remember me,
Eclipse

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