La barra di avanzamento si ferma, il cursore lampeggia. Riprovo. Nessuna risposta. Chiudo e riapro, il programma non si connette. La rete è muta, come se qualcuno avesse premuto un interruttore e spento tutto. Mi affaccio alla finestra, la notte è immobile. Milano dorme, ignara. Napster è morto. O almeno, non è più quello che conosco. Un mondo si chiude e io rimango qui, davanti allo schermo, con una playlist interrotta e il vuoto che avanza. Due anni di esplorazioni, di scoperte, di emozioni vissute in mp3. Due anni in cui il suono di un modem che si connetteva ad Internet era l’inizio di un viaggio. Bastava digitare un nome, una canzone, un artista, e il file appariva come per magia. I Megabyte scorrevano come un fiume sotterraneo, invisibile, inarrestabile. Ogni brano era una porta su qualcosa di nuovo, una libertà senza confini. Ed ora? Ora il fiume si è prosciugato.
Era rubare? Forse. Ma non mi importava. Importava la scoperta, il battito accelerato quando trovavo un brano raro, il suono della mia adolescenza che prendeva forma. La musica non era più solo un oggetto da comprare, era un diritto, un atto di ribellione, una dichiarazione d’esistenza. Ogni file scaricato diceva: io ci sono, io ascolto, io scelgo. E ora scelgono per me. I server sono spenti, la rivoluzione soffocata in una battaglia legale. Dicono che è giusto così, che gli artisti devono essere pagati, che la musica non è gratis. Ma la libertà è mai stata gratuita? Ogni generazione ha avuto la sua ribellione, e Napster è stata la mia. Mi ha insegnato che le regole si possono infrangere, che il sapere non deve essere chiuso a chiave, che la musica è di chi la ama. Eppure, stanotte, sento che qualcosa mi è stato tolto. Qualcosa che non tornerà.
Accendo lo stereo, premo play su un vecchio CD. La qualità è migliore, ma non è la stessa cosa. La musica acquistata è diversa da quella rubata. Quella rubata ha un sapore, un’ombra, un rischio. Era mia perché l’avevo trovata, l’avevo inseguita, l’avevo presa. Adesso è solo un suono pulito che non mi appartiene più. La notte scivola, lenta. Penso a come tutto cambia. Ai primi giorni di Napster, quando ancora nessuno capiva davvero cosa fosse. Ai nickname misteriosi che apparivano nella lista utenti, a quel senso di comunità segreta, di connessione silenziosa con sconosciuti dall’altra parte del mondo. Ogni file era una storia, ogni download un legame invisibile. Ora siamo di nuovo soli, ognuno con la sua copia ufficiale, con la sua playlist perfetta e sterile. Il mercato ha vinto. La libertà ha perso.
Ma forse non del tutto. Forse qualcosa di Napster vive ancora. Non nel programma, non nei server, ma in chi, come me, ha sentito cosa significava. In chi ha capito che la conoscenza non si può davvero fermare. Che c’è sempre un altro modo, un altro varco, un’altra strada. Chiudono una porta, ne apriamo un’altra. Spezzano un legame, ne costruiamo uno nuovo. La musica non si può possedere. Non importa quanti diritti d’autore, quanti tribunali, quante leggi. La musica è un’onda. E un’onda trova sempre la sua strada.
Ti voglio ricordare cosi’…

NAPSTER.
Remember me,
Eclipse