
L’attimo prima
Posted on June 18th, 2003 / Resilienza / 30 CommentsUltimo passo… #
Il tempo non ha più forma. Scivola, si scompone, si accartoccia su sé stesso come un foglio che ho strappato troppe volte. Non so più dove mi trovo, se prima, se dopo, se dentro un attimo che non passa mai. Sto studiando da un mese, senza tregua. Ho sottolineato ogni parola, ripetuto ogni concetto, ingoiato pagine come fossero l’unico cibo rimasto sulla terra. Ma niente basta. Niente è sufficiente. È una corsa senza fine, una rincorsa affannata verso qualcosa che non riesco a toccare. Non esco più. Non parlo più. Respiro a metà, come se ogni respiro fosse uno spreco. Ogni secondo è un’occasione per ripetere, per ricontrollare, per scorrere ancora una volta gli appunti che ormai sono impressi sotto le palpebre. Quando chiudo gli occhi, vedo date, formule, teoremi. Quando li riapro, il panico mi stringe la gola.
L’esame è domani. L’ultimo esame. Il confine sottile tra quello che ero e quello che sarò. Come se tutto dipendesse da questa manciata di ore, come se la mia esistenza intera fosse sospesa su una linea che può spezzarsi da un momento all’altro. Domani dovrò essere perfetta. Domani dovrò ricordare tutto. Domani dovrò dimostrare che tutti questi giorni senza vita hanno avuto un senso. Ma ho paura. Di svegliarmi con la testa vuota, di aprire bocca e non trovare le parole, di crollare sotto il peso di questa attesa che mi consuma. È una paura che non ha forma, non ha voce, è un mostro silenzioso che mi cammina accanto senza fare rumore. È nelle mani che tremano, negli occhi che non riescono a stare fermi, nel respiro che diventa corto ogni volta che provo a immaginare il momento in cui sarò lì, seduta davanti a loro, nuda, esposta, giudicata.
Non so più chi sono. Non sono più io. Sono solo questa pressione che mi schiaccia il petto, questo bisogno disperato di chiudere gli occhi e svegliarmi già oltre, già libera, già lontana da tutto questo. Ma non posso. Non ancora. Devo restare, devo finire, devo portare fino in fondo questa battaglia silenziosa che sto combattendo contro il tempo, contro la memoria, contro me stessa. Il mondo fuori non esiste più. Le strade, la gente, le voci, tutto è rimasto sospeso in un altro tempo, in un’altra dimensione. Qui dentro ci sono solo io e queste pagine. Io e la mia mente che si contorce su sé stessa, che cerca un appiglio, che prova a dare un senso a questa fatica che non finisce mai. Ogni parola è una spina che si conficca sempre più a fondo, ogni riga che leggo è un peso che si aggiunge alle mie spalle già spezzate. Ma non posso fermarmi. Non adesso. Non così vicina alla fine.
La fine. Cosa c’è dopo? Non lo so. Non riesco neanche a immaginarlo. Ho vissuto dentro questo incubo così a lungo che l’idea di svegliarmi mi sembra quasi irreale. Cosa si prova quando tutto è finito? Come si fa a tornare a respirare normalmente, a dormire senza il battito del cuore che tamburella nelle orecchie, a esistere senza questa paura costante che scava dentro il petto? Forse non si torna. Forse rimane qualcosa, una traccia invisibile, una ferita che non si chiude mai del tutto. Forse domani finirà e io non saprò più chi sono senza questo peso addosso. O forse domani non finirà affatto, e questo senso di vuoto continuerà a espandersi, a divorare ogni cosa.
Non c’è una risposta. Non c’è mai una risposta. C’è solo questa notte che non passa, questo silenzio che pulsa nelle tempie, questa stanchezza che mi tiene in ostaggio e non mi lascia andare. Devo continuare. Un’altra riga, un altro concetto, un altro sforzo ancora. Ancora un passo. Ancora un respiro. Finché il sole non si alzerà, finché domani non sarà oggi…
Transcendence.
Remember me,
Eclipse
Sei in una trappola. Lo vedo chiaramente. Stai cercando di afferrare qualcosa che non puoi mai possedere. Perché non lasci andare? Forse dovresti fermarti un attimo e respirare, non per l’esame, ma per te stessa.
Fermarmi è l’ultima cosa che posso fare. Ma forse è proprio nel movimento che trovo un po’ di vita. Lasciare andare sarebbe come arrendersi, e arrendersi non è un’opzione. Ma forse tu hai ragione, forse c’è un respiro che non sto sentendo.
Ho letto questo post in un silenzio assoluto, e mi sono sentita risucchiata dentro. La paura di non essere abbastanza, di non arrivare, di non toccare mai ciò che desideri… Non posso fare a meno di chiedermi, cosa accade quando tutto sembra sfuggire? Quando l’ora prima diventa l’eternità? È un pensiero che mi ossessiona spesso.
E se fosse proprio quella sensazione di sfuggire a definirci, quella sospensione a darci una forma? La paura diventa la nostra unica certezza. Ogni attimo che cerchiamo di afferrare diventa una crepa, un’ombra. Ma forse è lì, in quel momento di incompiutezza, che ci sentiamo più vivi, più veri.
Il tuo post è come un urlo muto. Ogni parola sembra un grido che nessuno sente, ogni riflessione una corsa senza respiro. Mi colpisce come descrivi il tempo, come se non fosse altro che un nemico da battere. Sembra che tu stia vivendo per l’esame e non per te stessa.
È come essere intrappolati in un corpo che non ci appartiene più, dove ogni respiro è più una fuga che un passo avanti. L’esame non è solo una prova, è una costrizione che ci definisce, ma non siamo mai veramente pronti. Forse è questa la nostra lotta: contro noi stessi, contro un tempo che ci scivola tra le mani.
Questa tua corsa senza fine mi fa venire in mente quanto sia inutile cercare di fermare il tempo. Ogni giorno che passa sembra un altro fallimento, eppure continuiamo a inseguirlo. Non è un paradosso incredibile?
Il tempo è la nostra condanna e la nostra salvezza. Ogni istante che cerchiamo di fermare ci scivola via, eppure continuiamo a inseguirlo come se fosse l’unica cosa che conta. In realtà, forse stiamo solo cercando di dare un senso a un movimento che non smette mai di esistere, in qualsiasi forma.
Non posso fare a meno di pensare a quanto sia folle la tua lotta. In ogni parola, in ogni riflessione, c’è quella tensione che non si placa mai. E mi viene da chiedermi, cosa succede quando la mente cede? Cosa resta quando tutto il resto diventa vuoto?
La mente è come un filo sottile, sempre a rischio di spezzarsi. Ma forse è proprio quando cede che il nostro vero io emerge. Quando smettiamo di tenere tutto sotto controllo, forse troviamo finalmente quella pace che ci sfuggiva. È una contraddizione, ma credo che l’incompletezza ci faccia sentire più vivi.
Questa sensazione di essere sospesi, di vivere in un tempo che non esiste più, mi distrugge. Come se ogni battito fosse uno spreco, un respiro perso. È incredibile quanto il panico possa avvolgere tutto e rendere il presente un abisso. La frustrazione, la pressione… non è mai abbastanza, mai perfetto. La corsa senza fine verso una perfezione irraggiungibile.
Non sono mai stata così vicina a quelle sensazioni. L’idea di correre verso qualcosa che non esiste è opprimente, quasi un incubo. Come quando non sai mai se stai andando avanti o se sei solo intrappolato in un cerchio senza via di fuga. La perfezione che cerchiamo, quella che ci costruiamo per difenderci dalla paura, alla fine non è mai realizzabile, vero?
C’è una bellezza tragica in questa lotta. Come se ogni parola, ogni gesto, fosse una ricerca di un equilibrio impossibile da trovare. Ma forse è proprio nell’impossibilità che si nasconde la bellezza vera.
La bellezza sta nel non arrendersi mai, nel continuare a cercare nonostante tutto. La perfezione è una chimera, ma è proprio attraverso la sua impossibilità che costruiamo la nostra realtà. E forse è lì che troveremo la verità, in quello spazio tra ciò che vogliamo e ciò che possiamo essere.
L’immagine di un tempo che scivola via, che perde ogni forma, è così vera. Quante volte mi sono sentita come te, in quella spirale che non finisce mai. Ogni respiro che sembra non bastare, ogni parola che non è mai abbastanza… La solitudine inizia a farsi sentire forte, proprio come il panico che descrivi.
La solitudine è un luogo oscuro, dove ci rifugiamo per non sentire il peso della paura. A volte credo che il panico ci spinga a cercare l’infinito, una fuga da un presente che non possiamo controllare. Ma forse la verità sta proprio in quel respiro che non basta, in quel dolore che ci ricorda che siamo vivi, nonostante tutto.
Mi sembra di vedere una lotta che non ha fine. Ogni parola, ogni pensiero sembra un altro passo verso il nulla. Non credo che tu stia combattendo solo contro te stessa, ma contro un mondo che ti impone di essere perfetta.
Sì, è una lotta contro un mondo che non lascia spazio all’imperfezione. Ma forse è proprio nell’imperfezione che ci possiamo finalmente trovare. Se smettiamo di cercare quella perfezione che non esiste, forse iniziamo a vivere davvero.
Mi viene da pensare che l’esame sia solo un pretesto, la tua lotta non è solo contro le parole da ricordare, ma contro qualcosa di più grande. Un pensiero, una paura, un sogno. Quella corsa senza fine… non è solo quella di chi studia, ma quella di chi cerca se stesso in qualcosa di irraggiungibile.
Forse hai ragione. A volte sembra che tutto quello che facciamo non sia altro che una ricerca per definire chi siamo. L’esame è solo la superficie di qualcosa che scava più in profondità, nella paura di non essere abbastanza, nel terrore di non riuscire a trovare un senso a quello che stiamo vivendo.
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