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Legami Improvvisi, Cuori Sospesi

Sono passati pochi giorni, ma sembrano un’eternità. Il tempo ha un cuore tutto suo, batte quando vuole, rallenta, accelera, si contrae e si dilata senza preavviso. A volte scorre come un fiume in piena, travolge tutto e lascia dietro solo un’eco confusa. Altre volte si ferma, immobile, sospeso, lasciando che il silenzio si faccia largo tra le pieghe dei giorni. Le ore scivolano senza lasciare traccia, come nuvole spinte dal vento, e io mi ritrovo a chiedermi quante ne ho perse, quante ne ho vissute davvero. Eppure, qualcosa mi tiene ancorata, un filo sottile che mi lega al mondo, alla realtà, al respiro che ancora pulsa dentro il mio petto. Ero lì, come sempre, nel cuore della notte, in quel luogo che sembra avere il respiro del mondo. La discoteca è un battito continuo, un groviglio di suoni, luci e corpi che si muovono senza sosta, un mare di energia che si infrange contro le pareti. Il sudore scivola sulla pelle, la musica entra nelle vene, il ritmo prende il controllo. Poi, all’improvviso, una spinta dietro di me. Un contatto inaspettato, una presenza che si insinua tra il respiro e il buio. Mi giro e lo vedo. Lui. T. Il mio migliore amico. È lì, in mezzo a quella massa di sconosciuti, come se il caso avesse deciso di giocarci un brutto scherzo. Ma il caso non esiste.

Ci muoviamo insieme senza parlare, come se il tempo si fosse piegato su sé stesso, riportandoci esattamente dove eravamo sempre stati. I nostri corpi parlano prima di noi, si sfiorano, si riconoscono, si ritrovano in quella danza istintiva che non ha bisogno di parole. Un sorriso, poi una battuta: «Strano, oggi niente aperitivo al bancone?» La sua voce si mescola al suono della musica, diventa parte del battito, si insinua sottopelle. C’è una leggerezza in quelle parole, ma anche qualcosa di più. Qualcosa che mi sfugge, qualcosa che preme sotto la superficie, pronto a rivelarsi quando meno me lo aspetto. Decidiamo di prendere quell’aperitivo, un’abitudine che si ripete come un rituale, un gesto semplice che sa di casa, di qualcosa di familiare. Ci sediamo al bancone, il tintinnio del ghiaccio nei bicchieri si confonde con il vociare indistinto della gente intorno a noi. Parliamo di tutto e di niente, ma c’è qualcosa di diverso, una vibrazione sotterranea che mi sfiora e poi si allontana, lasciandomi addosso una sensazione strana, un brivido che non riesco a decifrare. Lui ride, io sorrido, ma nel suo sguardo c’è un’ombra che non c’era prima. Qualcosa di non detto, qualcosa che preme contro il bordo delle labbra senza trovare il coraggio di uscire.

Il tempo si piega ancora, scivola via troppo in fretta. Quando ci alziamo per andare via, so già che nulla sarà più lo stesso. Lo sento nelle gambe che tremano appena, nel respiro che si spezza a metà, in quel silenzio carico di significati che ci accompagna verso l’uscita. T. è una persona unica, capace di rendere ogni momento qualcosa di speciale. Lo è sempre stato, lo sarà sempre. Ma c’è qualcosa che mi stringe lo stomaco, una consapevolezza che si insinua piano, che cresce dentro di me come una fiamma troppo vicina alla pelle. Camminiamo fianco a fianco, la strada deserta ci avvolge in un silenzio irreale. Le luci dei lampioni gettano ombre lunghe sull’asfalto, il rumore dei nostri passi è l’unico suono che riempie lo spazio vuoto tra di noi. Lui mi guarda, io distolgo lo sguardo. C’è una domanda che resta sospesa, che non verrà mai pronunciata. C’è una risposta che non ho il coraggio di ascoltare. Il mondo continua a muoversi, la città respira intorno a noi, ma io mi sento immobile, intrappolata in un momento che non so se voglio lasciare andare.

Quando ci salutiamo, so che qualcosa si è spezzato, o forse, qualcosa è appena iniziato. Il confine tra ciò che era e ciò che sarà è sottile come il filo di un rasoio. Il tempo, ancora una volta, si piega su sé stesso e io resto sospesa, in bilico tra ciò che conosco e ciò che ancora non comprendo.

THE END.
• remember me,
Eclipse •

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