Nel 2002, il mondo è un campo di battaglia, e non c’è giorno in cui il fronte non cambi. Le notizie si susseguono come onde in un mare in tempesta, ognuna più alta, più rumorosa, più distruttiva della precedente. L’economia, un mostro che morde e non si ferma, si sgretola lentamente come sabbia tra le dita, lasciando dietro di sé frammenti di vite, come pezzi di vetro frantumati. Noi, in mezzo a tutto questo, continuiamo a lottare, ci adattiamo, continuiamo a navigare, eppure qualcosa dentro si sta sgretolando. Non sono più solo numeri, grafici, e bilanci. Sono persone, famiglie, sogni che non torneranno mai più. Enron, la sua caduta, è l’ennesima tragedia che ci ricorda che il sistema è marcio, che l’inganno è diventato un gioco troppo grande per chiunque di noi. Io non posso fare a meno di chiedermi: che futuro ci aspetta davvero? Mi guardo intorno e vedo la scuola, quel posto che una volta ci dava speranza, che una volta ci faceva sentire parte di qualcosa. Ora, non è che più un luogo di sapere, ma di teorie astratte che non si applicano alla realtà. Cosa importa, quando la verità è che quelli che stanno in cima, che manovrano fili invisibili, non temono niente e nessuno? Non temono noi, che ci ritroviamo senza certezze, senza risposte. Non temono noi, che ci siamo rassegnati a una condizione che non abbiamo scelto, ma che ci è stata imposta.
Il mondo si sta disgregando, e io lo vedo ogni giorno con occhi sempre più svegli. La povertà non è più solo un concetto economico, è un vuoto dentro che ci corrode. La povertà della mente, la povertà dell’anima. Il disincanto si sta diffondendo come un virus invisibile tra noi giovani, che diventiamo sempre più spettatori impotenti di un gioco che non abbiamo mai accettato, ma che ci è stato dato da vivere. Ogni giornata è un altro passo verso l’incertezza, ma non c’è scampo. Noi siamo i figli di questo disastro, cresciuti con promesse mai mantenute. Ogni tanto, guardo fuori dalla finestra, e vedo che il mondo sembra sempre lo stesso. La luce che si riflette sull’asfalto, i passi delle persone che non si fermano mai, tutto continua, come se nulla fosse cambiato. Ma io non riesco a non vedere la crepa che si sta allargando nel terreno. Non posso ignorare quella sensazione di vuoto che cresce dentro di me, quella sensazione che, forse, non c’è davvero più nulla di solido su cui poggiarsi. Le risate, i sogni, le speranze… tutto sembra sfumare nell’aria, e io non riesco a capire come sia potuto succedere. Cresciamo con l’illusione che il futuro ci riservi qualcosa di più, e invece siamo qui, a lottare per non sprofondare. Ma il sistema continua a girare, come se niente fosse, senza mai fermarsi. Noi siamo il vento che scuote l’albero, ma l’albero non si piega mai.
«Chi siamo noi in questa storia?» mi chiedo spesso. La risposta non è mai facile da trovare. Forse è proprio questa la domanda che dobbiamo continuare a porci, perché non possiamo più rimanere in silenzio. La verità non è lì, in superficie, ma è nascosta, sotto strati di polvere e indifferenza. È nascosta nelle piccole cose, nelle scelte quotidiane, nelle nostre resistenze. La verità è che non siamo impotenti. Non lo siamo mai stati. Eppure, mentre l’illusione di un futuro prospero si dissolve come sabbia tra le dita, ci sono momenti, quegli attimi brevi in cui sembra che tutto abbia ancora un senso. È nei volti degli amici, nelle risate condivise, nelle conversazioni che ci fanno sentire vivi. Forse, lì, proprio lì, dobbiamo trovare la nostra forza. Non nei bilanci, non nei numeri, non nelle promesse mai mantenute, ma nelle cose più semplici. Nei legami che ci uniscono. Mentre il mondo crolla e ricostruisce se stesso, mi chiedo, ancora una volta: cosa rimarrà alla fine? Quando il disincanto diventa l’unica certezza, che futuro possiamo ancora credere di costruire?
THE END.
Remember me,
Eclipse