
La luce oltre l’ombra
Posted on April 11th, 2004 / Rinascita / 38 CommentsCerte mattine arrivano come una ferita che non sanguina, ma pulsa. Ti svegli e non sai se sei ancora viva o solo intrappolata in un corpo che fa finta di esserlo. Il sole filtra piano tra le tende, disegna linee sottili sulla parete scrostata della cucina, e tu lo guardi senza sapere se lo odi o se ti salva. È così che comincia, ogni volta, il pensiero della rinascita. Non come un inno sacro, non come una preghiera sussurrata tra i banchi vuoti di una chiesa dimenticata. Ma come un urlo sommesso che si fa spazio tra il profumo del caffè e l’odore stanco delle arance tagliate a metà sul tavolo. Le arance, con quella loro carne umida e sanguigna, sembrano il cuore di qualcosa che ho perduto. Il coltello le ha divise come certe parole dividono la carne dall’anima. E io respiro quel profumo come se fosse un’esca, una via d’uscita dal gelo che mi porto addosso. Non so cosa significhi credere davvero, ma so cosa vuol dire doverlo fare per restare a galla. So cosa vuol dire cercare una resurrezione che non è promessa, ma necessità. Il cucchiaino sbatte contro la ceramica con una ripetizione stanca, quasi rituale. Non c’è preghiera nel mio gesto, solo abitudine. Ma a volte l’abitudine è l’unica cosa che ci tiene in piedi quando ogni altra struttura crolla. Il cielo fuori è grigio, ma in quel grigio c’è qualcosa di vivo. Un passero si posa su un ramo nudo, vibra di un canto che non chiede ascolto. E io lo sento come una lama: perché anche quando sono a pezzi, continuo a cantare. Non per farmi sentire. Ma per ricordarmi che posso farlo.
C’è un ricordo che torna sempre. Il giardino di mia nonna, l’erba bagnata sotto i piedi nudi, il cuore che batteva più forte solo perché era primavera. Le uova di cioccolato nascoste tra i cespugli, la voce di mio padre che mi diceva di cercare anche quelle che non si vedono. Quelle parole non sono mai andate via. Si sono incastrate in me come spine dolci, come semi che germogliano quando meno me lo aspetto. Cercare ciò che non si vede. Sperare anche quando le mani restano vuote. Oggi quel giardino non c’è più. Forse non c’è mai stato davvero, o forse l’ho lasciato indietro come si lasciano indietro certe parti di sé quando fanno troppo male per essere tenute vicine. Oggi c’è solo questa stanza, questo silenzio che vibra tra le pareti, questi pensieri che si muovono come ombre sotto pelle. Mi tolgo di dosso ciò che non serve, ma resta sempre qualcosa che si incolla, che non si stacca. È la paura che non ha volto ma ha radici, che si aggrappa e ti impedisce di volare. Ma si può rinascere anche con le radici inchiodate al passato. Si può rinascere in silenzio, mentre nessuno guarda, mentre il mondo continua a girare con la sua indifferenza spietata. Non serve un miracolo, non serve una luce improvvisa. A volte basta un respiro profondo, uno solo, che non chieda permesso. Un passo in avanti senza sapere dove porta. Una scelta. Perché rinascere non è un dono concesso a pochi. È una scelta quotidiana, sporca, stanca. Una ferita che si riapre ogni volta, ma che non smette di guarire.
Rinascere è lasciarsi dietro le ceneri senza sapere se ci sarà un fuoco nuovo ad accoglierci. È camminare tra ciò che è bruciato e continuare a camminare, anche se il fumo ci acceca. È perdonare ciò che ci ha ferito, anche se non lo merita. È perdonarsi per aver permesso che accadesse. E farlo non perché siamo buoni, ma perché non vogliamo restare prigionieri. Il perdono è una porta che si apre solo dall’interno. E a volte resta chiusa per anni. Altre volte basta un soffio per spalancarla. Non ci sono più uova nascoste oggi. Solo pensieri. Solo memoria e desiderio. Ma cerco lo stesso. Anche ciò che non vedo. Anche ciò che forse non c’è. E in questa ricerca senza fine, trovo qualcosa che assomiglia alla vita. Non una vita perfetta. Non una vita risolta. Ma una vita che continua. Che si muove. Che respira. Ed è abbastanza. Per ora, è abbastanza. Il tempo non aspetta. Né io lo aspetto più. Scelgo di muovermi con lui, anche se a volte inciampo, anche se spesso cado. Ogni caduta è un promemoria. Ogni risalita, un atto di resistenza. Rinascere è questo. Non un’esplosione di luce, ma una lenta, ostinata, continua fioritura. Anche in mezzo al cemento. Anche sotto la pioggia. Anche quando nessuno guarda. E il mio passo, ora, non è leggero. Ma è mio. E questo basta a renderlo vero.
The End.
• remember me,
Eclipse •
La luce che filtra tra le tende. È sempre quella, tutte le mattine. Ma oggi, dopo averti letta, ho capito che non la vedevo più da anni.
La luce non smette mai di entrare. Siamo noi che, a volte, diventiamo ciechi per troppo tempo. Ma basta uno spiraglio, e il mondo rientra.
Le arance. Quel dettaglio ha acceso tutto. La carne rossa, le lame, il cuore. Non c’è niente di più crudo e poetico insieme. Sento ancora l’odore.
È un odore che resta sotto pelle. Non va più via. Come certi ricordi che non profumano di nostalgia, ma di sangue e verità.
Mi si è fermato il respiro al passaggio del cucchiaino. Quella ceramica, quel suono… è esattamente il momento in cui capisco che sono ancora qui, che non sono sparita davvero. Tu hai sempre questa dannata capacità di scrivere il mio silenzio meglio di me.
Grazie per essere passata ancora una volta, Alexiel. A volte è proprio il rumore più fragile a tenerci in vita, quello che gli altri non notano, ma che noi sentiamo come un colpo netto nello stomaco. E mentre tutto trema, resta quel suono, e noi con lui.
Quella frase del passero… mi ha trafitto. Continuare a cantare anche a pezzi. È esattamente ciò che provo quando suono il piano con le mani fredde e il cuore confuso.
Cenny, ogni nota che suoni è un atto di ribellione gentile. Anche la musica si spezza, ma il suono arriva comunque, storto, bellissimo.
Ho stampato l’ultima frase. La metto nel diario che porto a Cardiff. Mi serve una bussola anche se non voglio una direzione. Mi basta sapere che qualcun’altro cammina nel fumo.
Camminiamo tutti nel fumo, Kassandra. Alcuni si fermano, altri continuano. Tu cammina. Non per uscire, ma per sentire sotto i piedi che esisti.
Le tue parole sono formule che non riesco a decifrare del tutto. Ma c’è qualcosa in esse che mi disarma. Ed è proprio lì che torno.
Forse perché non servono risposte per restare. A volte basta la vertigine della domanda.
La tua scrittura è un labirinto emotivo e io ci cammino dentro come chi cerca un’uscita ma non la vuole trovare davvero.
Forse perché l’uscita è solo un’illusione. Forse la verità sta nel restare, nel perdersi, nel cercare sapendo che ogni angolo ha qualcosa da dire.
Io non riesco nemmeno a respirare bene stamattina e tu mi parli di rinascita. Forse serve anche questo per non sparire: qualcuno che ci dica che si può, anche se non lo crediamo.
Nicole, non devi crederci per forza adesso. Ci sono parole che agiscono a distanza, come certi semi che dormono per anni. Quando servirà, se servirà, saranno ancora lì.
Io quel respiro profondo lo faccio ogni mattina prima del caffè, ma non mi basta più. Oggi, però, ho letto questo e ho pensato che magari il caffè non è tutto.
Non lo è, Debbh. Ma a volte è abbastanza per iniziare. Non perché sia magico, ma perché è nostro. E in quel gesto c’è già la possibilità di restare, anche solo per un po’.
Parli di rinascita come fosse una condanna. E forse lo è. Ma almeno non ci menti. Sei l’unica a non travestire il dolore da poesia.
Perché il dolore non ha bisogno di abbellimenti. È già abbastanza reale così com’è. Rinascere è anche sapere questo.
Ci sono notti in cui le tue parole mi tengono sveglia più dei miei pensieri. E forse è un bene. Perché almeno quelli smettono di urlare per un po’.
Il silenzio che si crea quando i pensieri tacciono è il vero spazio sacro. Quello in cui finalmente possiamo ascoltarci.
Mi sono sempre chiesta se la nostalgia fosse una forma di fede. Di certo è la mia. Credo nei giardini che non esistono più come si crede in Dio quando ci manca un padre.
Anny, certe memorie sono sacramenti involontari. E forse è proprio la nostalgia a insegnarci a resistere, a vedere nel vuoto una possibilità, anche senza prove, anche senza garanzie.
Ti ho letta da sdraiata, con le cuffie, in uno di quei momenti in cui il mondo fuori è più silenzioso di quello dentro. Adesso ho il cuore che pulsa in due tempi diversi.
A volte è proprio il disallineamento che ci salva. Quel battito scomposto, quella confusione ritmica… è lì che nasce il passo nuovo.
Rinascere è un verbo che non mi appartiene. Io resto lì, nel punto esatto in cui ho smesso di crederci. Ma leggendoti mi chiedo se sia proprio da lì che si comincia.
Può darsi che si cominci proprio lì, dove si pensa che tutto sia finito. Dove niente sembra germogliare, eppure qualcosa sotto terra pulsa ancora. Anche la cenere sa trasformarsi.
Ogni caduta è un promemoria. Hai scritto questo e ho sentito una lama. Io ne porto ancora il segno sulla pelle.
I segni sono la nostra mappa. Non ci portano indietro, ma ci ricordano dove siamo passati, e perché.
Sai che palle la rinascita? Tutti a parlare di speranza, di ricominciare, ma nessuno che dica quanto fa schifo cadere. Tu lo fai. E per questo non riesco a smettere di leggere.
Cadere è un verbo che non viene mai celebrato. Ma è lì che si crea il movimento. Nello schianto. Grazie per il passaggio, anche sbuffando, anche stanco.
Ho pensato a mio nonno, che non c’è più. A quella volta che mi ha detto: “Anche la pioggia ha un suo senso, se sai dove metterti”. Non l’ho mai capito, ma oggi ci ho creduto.
A volte capiamo solo dopo che la pioggia è passata. Ma anche bagnarsi, a volte, è una forma di comprensione. Quella che resta addosso.
Mi hai riportata al giardino della mia infanzia. Non ci avevo pensato da anni. E adesso mi manca anche se non so se è mai esistito.
I luoghi che ci mancano senza certezza sono quelli che ci formano di più. Perché li abbiamo immaginati tanto da renderli veri.
Il tuo post è un’illustrazione senza disegno. Ogni parola sembra un tratto lasciato su pelle viva. Resto lì, a fissare il punto in cui fa più male.
E non serve un contorno per sapere che è un corpo. A volte basta il vuoto tra le linee per capire dove brucia. Grazie per esserti fermata.