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Un incontro inaspettato

La mia cioccolata calda tra le mani si sta facendo sempre più fredda. Il vapore, che prima saliva piano, ora è scomparso, lasciando solo una sensazione di vuoto tra il caldo del bicchiere e il gelo dell’aria che mi circonda. Il rumore della città sembra distante, come se fosse un’altra dimensione. I passi frenetici dei passanti si perdono in un angolo remoto della mia mente, e per un attimo sento il silenzio avvolgermi, farsi largo tra i pensieri, come un respiro che non si è mai fermato.

Poi, lui appare. Un volto che non vedo da anni, uno di quelli che non sono né amici stretti né estranei, ma semplicemente compagni di un tempo che ora sembra altro, lontano. La sua figura si staglia contro la luce soffusa del caffè, come un’immagine sbiadita che ritorna all’improvviso, come una scena che non avevo più pensato di rivedere. Non ha bisogno di parole per farmi capire che è lui. Il suo sorriso mi colpisce, immediato, con quell’espressione che ti fa sentire a casa, come se il tempo non fosse mai passato, come se tutto fosse ancora fermo in quella sera di tanti anni fa. Ci guardiamo per un attimo, il mondo che continua a girare intorno a noi mentre noi restiamo sospesi, in un tempo che sembra non esistere. Poi, senza preamboli, le parole cominciano a scivolare fuori, fluide, come se fossimo ancora tra i banchi di scuola, senza scosse, senza fretta. Non c’è tensione, nessuna necessità di riempire il vuoto che ci separa. Il silenzio che ci aveva accolti ora sembra insignificante, come una nuvola che si dissolve al primo respiro.

Mi parla della sua vita, della geografia che ha insegnato, delle città che ha visto, delle strade che ha percorso. Ma è la sua presenza che riempie davvero il silenzio, un silenzio che non avvertivo più da tempo. Le sue parole sono semplici, ma il tono che le accompagna le rende eterne, come se ogni frase fosse un piccolo segreto che ci lega, che si infila tra le fessure del tempo, tra i ricordi che credevamo dimenticati. Eppure, tutto sembra perfetto, come se la vita, con la sua andatura imprevedibile, ci avesse riportati qui, in questo istante, come se niente fosse cambiato. Il tempo, a volte, non è mai stato così relativo. Non conta quanto sia passato, non conta dove siamo. Quello che conta è che ci troviamo qui, ora, a condividere questo momento che non avrebbe dovuto esserci, ma che è accaduto, senza spiegazioni, senza ragioni. È come una finestra aperta su un paesaggio che non avevamo mai notato prima, una visione che ci arriva all’improvviso e che non possiamo ignorare.

Le parole si intrecciano senza sforzo, eppure non sono mai troppo. C’è un’eleganza sottile, una leggerezza che rende ogni silenzio più forte. C’è un respiro che fluisce tra di noi, e io sento che, per quanto il tempo passi, questa connessione non si spezza. È un filo sottile che lega il passato al presente, una traccia invisibile che non si cancella mai del tutto. Eppure, quando ci alziamo per andarcene, quando il nostro incontro si avvia alla sua fine naturale, qualcosa dentro di me si fa più pesante, più denso. Non c’è malinconia, non c’è rimpianto. Come è possibile che il tempo faccia ciò che fa? Come è possibile che, nonostante tutto, alcune cose restino lì, senza fine, senza risposte, eppure così vive, così presenti, pronte a ripartire ogni volta che meno te lo aspetti? E mentre lui se ne va, mi trovo a chiedermi se questo incontro è davvero finito, o se, in qualche modo, è solo un inizio.

SOMETIMES.
Remember me,
Eclipse

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