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Il vetro infranto

PARTE UNO.

A volte basta un rumore, lieve come un respiro, per infrangere un silenzio. Eppure, quel silenzio che ci separa ora è più forte di qualsiasi parola. Non so dire quando sia cominciato. Forse in quella sala giochi, quando tutto sembrava ancora un gioco e noi eravamo solo pedine inconsapevoli, intrappolate in una partita che nessuno voleva davvero vincere. Ricordo ancora l’odore di plastica bruciata dei joystick, il suono secco delle monete che cadevano, la luce intermittente dei neon blu che sembravano pulsare al ritmo dei miei battiti. È lì che tutto è cambiato, anche se allora non lo sapevo ancora. È lì che il vetro ha cominciato ad incrinarsi. Il vetro, già. Lo stesso vetro che ora non riesco più a smettere di guardare, riflettendomi in un’immagine che non riconosco. E’ davvero questo che siamo diventati? Ombre di ciò che eravamo, frammenti che non combaciano più. Lui se n’è andato e ha portato con sé ogni possibilità di ricostruire quel quadro. Io sono rimasta qui, con le mani vuote e le parole che non ho mai detto.

Non servono scuse, me lo ripeto come un mantra. Le scuse sono solo un’illusione, suoni vuoti che non restituiscono ciò che è andato perso. Eppure, ogni notte mi trovo a cercarle, come se pronunciarle potesse ridarmi indietro qualcosa. Ma cosa? Cosa c’è, alla fine, dall’altra parte del silenzio? Forse solo il vuoto. Il silenzio è un compagno crudele. Non ti urla contro, non ti accusa, ma ti avvolge, ti costringe a guardarti dentro. E dentro di me c’è solo caos, una tempesta che non si placa mai. Voglio scappare, correre via, ma so che ovunque vada questo vuoto mi seguirà. È come un’ombra che non si stacca mai dalla pelle. Non mi interessa più chi ha torto e chi ha ragione. È il tempo che passa, la distanza che cresce, il peso di ciò che non può essere cambiato. Ogni passo che lui ha fatto lontano da me ha lasciato una traccia, un solco invisibile che ora mi attraversa il petto. Non c’è vendetta, non c’è rabbia, solo un profondo senso di perdita.

Fragilità. È questa la parola che mi tormenta. Mi sono sempre vista forte, indistruttibile, e invece ora sento ogni crepa, ogni filo che si tende troppo e rischia di spezzarsi. Vorrei essere di cristallo, trasparente, fragile, intoccabile. Ma il cristallo si infrange, e quando succede non rimane nulla. Solo polvere. E la polvere non racconta storie. Forse è questo il punto. Che alla fine non c’è una storia da raccontare. Solo frammenti, pezzi che non si incastrano, ricordi che non vogliono essere ricordati. Quando il vetro si rompe, non importa quanto provi a ricomporlo: non sarà mai più lo stesso. E io? Io non sono più la stessa. Mi chiedo se ci sarà mai un momento giusto, un’occasione per guardarlo negli occhi e dire tutto ciò che ho tenuto dentro. Ma c’è mai davvero un momento giusto? O il momento giusto è solo un’idea, una bugia che ci raccontiamo per giustificare la nostra paura? La verità è che non ho risposte. Solo domande. Come questa: perché il silenzio pesa così tanto? È la mancanza di parole o il loro eccesso? È il rimpianto per ciò che non è stato detto o la consapevolezza che nulla di ciò che diremo potrà mai cambiare le cose?

E mentre mi perdo in queste domande, mi accorgo che il vetro non è solo una metafora. È reale, è qui, davanti a me. Una finestra che separa il mio mondo da quello fuori, che riflette un volto che non riconosco più. Mi guardo, cerco di vedere oltre, ma tutto ciò che vedo è un’incrinatura. Piccola, quasi invisibile. Eppure c’è. Forse è lì che si nasconde la risposta. Nella fragilità. Nel punto in cui tutto sembra sul punto di spezzarsi, eppure resiste. Forse è lì, nella fragilità, che si trova la vera forza. Ma davvero possiamo chiamarla forza? O è solo sopravvivenza? E se fosse questo il nostro destino? Continuare a camminare sul filo, sapendo che prima o poi cadremo? Non lo so. Forse non lo saprò mai. Ma una cosa è certa: il vetro non sarà mai più intero. Ed io? Io sarò mai intera?

THE END.
Remember me,
Eclipse

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