Il peso della scelta

Il peso della scelta

Posted on March 19th, 2002 / / 0 Comments
Potere & Società / Feeling at 1:37 am

Operazione Anaconda: è questo il nome dato all’ultimo atto, l’offensiva in cui centinaia di soldati americani scendono sulla terra irachena, pronti a rischiare tutto per cercare qualcosa che forse non troveranno mai. O forse sì. Lo so, non è popolare ammetterlo, ma io lo dico. Siamo stati addestrati a credere che la guerra sia giusta quando c’è un obiettivo, una ragione. Ma qual è la ragione di questa guerra? Lo stiamo ancora cercando, come se la risposta fosse dietro ogni roccia frantumata, dietro ogni corpo distrutto. La verità è che non c’è una risposta chiara. E non è mai stata chiara. Non per me. Non per loro.

Il giorno che vedo l’inizio di Anaconda, c’è qualcosa di strano nell’aria. Non la solita frenesia che si respira in un’operazione militare, ma qualcosa di più profondo. Un silenzio che dice tutto, una consapevolezza che solo chi ha visto la guerra può capire. È come se il deserto fosse il palcoscenico di un dramma che non sappiamo nemmeno come raccontare. Le armi, le voci dei soldati, i comandi, tutto si fonde in un’unica grande massa. Non c’è alcuna speranza di salvezza. Solo una lotta che non si ferma mai. Ed è per questo che, in fondo, mi chiedo: dove finisce la giustizia e dove inizia la vendetta? Dove inizia il diritto di una nazione di proteggere il proprio popolo e dove inizia il crimine di un altro? Gli occhi di quei soldati, persi nel niente, fissano l’orizzonte, cercando di capire cosa stiamo cercando, di capire per chi stiamo combattendo. Non posso dire di sapere. Non posso nemmeno dire che ne ho mai avuto davvero una chiara idea. Ma una cosa è certa: il respiro del deserto è un grido, un urlo che nessuno sente, ma che tutti dobbiamo portare dentro. A volte, tutto quello che ci rimane è la polvere, che ci entra nelle ossa, nei pensieri, fino a che non siamo più sicuri di chi siamo, di dove stiamo andando.

Quando la missione parte, vedo l’inferno. Non come l’idea che te lo dipingono nei film, ma una guerra più intima, più silenziosa. Una guerra in cui non c’è alcuna pace. Le vittime non sono solo numeri, ma volti che non hai mai visto, ma che senti appartenere a qualcosa che non capisci. Eppure, mentre il mondo intero si lamenta di questa guerra, so che non è solo questione di politica. C’è qualcosa di più che ci spinge, qualcosa che non avrà mai il riconoscimento che merita. Vedo l’oscurità di una nazione che non vuole fermarsi. Vedo la luce di un paese che combatte per qualcosa che non si può spiegare. Vedo gli Stati Uniti, e so cosa penso di loro, ma non posso negare che hanno combattuto come nessun altro. Non sono mai stata dalla parte di Bush, ma oggi, oggi mi ritrovo a chiedermi se davvero avessimo scelta. Se davvero fosse tutto inutile, se veramente la nostra mano non avrebbe dovuto sollevarsi.

Alla fine, non si può parlare di Anaconda senza parlare di ciò che non si vede. Gli errori, le ombre. Le guerre non sono fatte solo di successi, ma anche di fallimenti, di vite strappate via troppo presto. Quando si è lontani, quando si ascolta solo ciò che ci viene raccontato, si può dire di non sapere. Ma chi c’è dentro, chi ha visto il fango sulle mani, la polvere negli occhi, non può più fare finta di non sapere. Eppure, oggi ci chiediamo cosa resta. Qual è il risultato? Non posso dirlo. Non lo so. Non lo sapremo mai. La guerra non si misura con i numeri, né con le promesse. La guerra è qualcosa che ti cambia dentro, ti piega, ti fa vedere il mondo come un campo di battaglia. E anche quando tutto è finito, quando le bandiere si abbassano e il silenzio cala, restiamo con le domande che ci tormentano. Resta un dubbio, che non posso evitare. Un pensiero che mi segue ovunque, come un’ombra: «Quando si parla di giustizia, chi stabilisce cosa è giusto?»

OPERAZIONE ANACONDA.
Remember me,
Eclipse

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