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Il latte acido

Accendere il TG a dicembre dovrebbe portare con sé il calore delle festività, il rumore delle strade che si accendono di luci, i preparativi che invadono ogni angolo, la promessa di un rifugio dentro il caos. Dovrebbe essere un tempo di abbracci, di risate di fronte ai maglioni brutti, alla dolcezza dei giorni che scorrono veloci. Eppure, quando il freddo di dicembre avvolge la stanza, il sorriso che mi aspetta sullo schermo del televisore non è quello che sognavo. È un latte acido, un colpo al cuore che mi gela le mani, che mi sputa addosso la verità senza pietà. Un cocktail di drammi finanziari, di illusioni infrante, di rovine che si fanno strada come polvere tra le dita, con quel pizzico di latte Parmalat che non aveva bisogno di nulla per sembrare completo, perfetto, rassicurante. Un bicchiere di latte caldo, la schiuma che si alza lenta, delicata, l’aroma che avvolge la stanza, un profumo che parlava di giorni che sembravano immutabili, di routine, di quella serenità che ora mi sembra così lontana, così irreale. Un abbraccio di sapore, di conforto. E ora? Cosa rimane di quel gesto che si ripeteva ogni mattina, ora che è distrutto dalla verità che ha travolto il marchio che lo rendeva simbolo di casa?

Non è facile lasciar andare l’idea di un gesto tanto semplice che racchiudeva una piccola certezza. Ma l’inquietudine è arrivata come un’ombra ed ha strappato via tutto. Il latte, che per anni faceva parte della mia vita, è ora solo un simbolo di inganno, una menzogna che ha macchiato anche la sua purezza. È l’ombra di Parmalat che mi avvolge, il buio di un sistema che crolla sotto il peso delle sue stesse bugie. Ho bevuto quel latte, l’ho abbracciato come un rito quotidiano, come una promessa. Ma ora? Come faccio a separare quel gesto che sembrava così innocente, così puro, da quello che è diventato il volto di una crisi che ha cambiato il corso della storia economica italiana? Eppure, ogni mattina, in silenzio, guardo il fondo del mio bicchiere. Non più il latte, ma la domanda che mi brucia dentro, che mi scuote senza sosta: Come è stato possibile non vedere? Come è stato possibile ignorare il fragore di un sistema che crollava, l’urlo muto delle menzogne che ci circondavano come nebbia? Quel latte bianco, che pareva senza macchia, ora è carico di una consapevolezza che non lascia spazio a illusioni. È solo un liquido, sì, ma quel liquido ha contenuto una menzogna che si è allargata come un fiume che ha travolto tutto, che ha inondato la fiducia che ci aveva legato a quella marca, senza mai fermarsi a chiederci il perché, senza mai chiedersi cosa ci fosse davvero dietro l’etichetta.

Il latte è finito. E con lui, il sogno di un’Italia che avrebbe potuto mantenere la sua dignità anche tra le rovine. La mia riflessione si fa più pesante: Cosa nascondiamo sotto la superficie della normalità? E non si tratta solo di Parmalat, non si tratta solo di un marchio. Il vero dubbio che mi assale non è il destino del latte, ma la fragilità della nostra fiducia. Quella stessa fiducia che ci fa cadere nelle trappole che sembrano innocenti, quotidiane. Quante volte ci hanno venduto sogni travestiti da certezze? Quante volte abbiamo preso tutto per buono senza mai chiederci: Cosa c’è dentro? Forse è proprio questo il prezzo che dobbiamo pagare. Credere nella bellezza di ciò che non possiamo più afferrare. La verità non si trova mai nel bicchiere, non è dentro al latte che bevevamo ogni giorno. La verità è in ciò che ci resta in bocca, quando tutto è stato bevuto e il sapore si è dissolto come nebbia. È lì che si nasconde, tra il vuoto che lascia ciò che sembrava pieno, tra il silenzio che segue il rumore di quello che abbiamo perso.

E ora, mi fermo. Non c’è più latte. Ma qualcosa resta, qualcosa che non si dissolve mai davvero. Cosa resta di tutto questo? La domanda che nessuno si ferma a fare, quella che viene spazzata via con il latte, è sempre quella che non trova risposta. La ricerca della verità, il tentativo di afferrare qualcosa che ci sfugge. Quel latte, simbolo di fiducia, ora è solo una cicatrice. Ma forse è proprio questo il nostro destino: cercare di tenerlo insieme, senza mai capire che forse non c’è niente da mantenere. La domanda persiste, ma la risposta non arriva. Non arriva mai. E mentre il mondo gira, mentre tutto continua come se nulla fosse, la cicatrice rimane. E dentro di me, dentro di noi, la ricerca non finisce mai. Non è mai finita.

Milk.
remember me,
Eclipse

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