Giorni infiniti di ombre

Giorni infiniti di ombre

Posted on March 8th, 2009 at 2:40 PM | Tags: | 0 Comments

C’è una stanchezza che non si dissolve, una malinconia che si stira come il tempo,
allungandosi fino a consumare ogni respiro #

Il negozio è immerso in una luce che non perdona. Le lampade appese riflettono bagliori freddi, sterili, quasi chirurgici. Sono giorni come questo che sembrano sfidare la logica del tempo, ore che si distendono in una sequenza infinita di momenti identici. Il mio lavoro è una danza ripetitiva: accogliere, spiegare, convincere. Vendo abbronzature, quei piccoli soli artificiali che promettono illusioni dorate a chiunque varchi la soglia. Ogni cliente porta con sé un frammento di insoddisfazione, un vuoto che spera di riempire con una tonalità più calda sulla pelle.

Un uomo entra, sulla cinquantina, con lo sguardo abbassato e le mani tremanti. Non mi guarda negli occhi. La sua richiesta è semplice: una lampada per togliere il grigiore. Io annuisco, ma dentro mi chiedo: «È davvero la pelle il problema, o è qualcosa di più profondo?». Gli indico il modello migliore, recitando una descrizione che ormai conosco a memoria. Lui sorride debolmente, paga, e se ne va senza voltarsi. Il profumo del negozio è un misto di plastica nuova e detergenti chimici, un aroma che si mescola con il lieve odore metallico delle lampade accese. Mi disturba, ma ormai è parte di me, come un’ombra che non posso scrollarmi di dosso. Ogni respiro mi ricorda dove sono: in un luogo che riflette un’esistenza fatta di apparenze e compromessi.

Osservo una lampada accesa. La sua luce è intensa, quasi accecante, ma non scalda. Mi avvicino, e il calore è appena percettibile, una beffa per chi cerca conforto. Eppure, è esattamente quello che vendiamo: una promessa vuota di calore, un bagliore che non arriva mai al cuore. C’è una giovane donna che aspetta il suo turno. La sua pelle è perfetta, senza macchie, senza difetti evidenti, ma lei è qui perché vuole qualcosa di più. Mi spiega che è stanca di sembrare troppo pallida, che ha bisogno di un tocco di colore per sentirsi viva. Mentre parliamo, noto un’esitazione nei suoi occhi, come se cercasse di convincere più sé stessa che me.

Le lampade non sono solo strumenti, sono specchi. Riflettono la nostra ossessione per l’apparenza, per ciò che crediamo ci renderà accettabili agli occhi degli altri. Io, che sto dall’altra parte del bancone, lo vedo chiaramente. Ogni giorno, questo luogo diventa una sorta di confessionale, dove i clienti riversano insicurezze e desideri. E io, la venditrice, ascolto in silenzio, trattenendo il giudizio. Quando il negozio si svuota, mi concedo un momento per guardare fuori dalla vetrina. La strada è deserta, e la luce del giorno sembra meno reale di quella artificiale che mi circonda. Mi chiedo: «Perché ci affanniamo tanto per essere diversi da quello che siamo?». La risposta non arriva, solo un senso di incompletezza che mi accompagna fino a sera.

Il giorno finisce, ma non porta sollievo. Le ore che ho vissuto sembrano ripetersi in un ciclo senza fine, come se fossi intrappolata in una bolla di tempo statico. Chiudo il negozio e mi avvio verso casa. L’aria fredda della sera mi colpisce il viso, un contrasto netto con il calore artificiale delle lampade. Respiro profondamente, cercando un senso di libertà che non trovo. Forse, mi dico, la vera bellezza non è una questione di luce esterna, ma di qualcosa che deve accendersi dentro di noi. Eppure, è una verità che pochi sono pronti ad affrontare. Preferiamo la semplicità dell’illusione, la sicurezza di un riflesso che non racconta tutta la storia.

Mi fermo, guardo il cielo scuro e mi chiedo: «Quanto tempo ci vuole per accettare ciò che siamo veramente?». Forse, un’intera vita non basta. C’è una luce che nessuna lampada può dare. È dentro di noi, nascosta. La troveremo mai?


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