
Zena… Lieve oscurità
Posted on March 14th, 2001 / Esperienze / 24 CommentsSono seduta davanti a questa grande finestra, un angolo di silenzio e luce nella casa di mio padre a Genova. Ogni volta che vengo qui nei week-end, è come se mi ritrovassi nel mezzo di un dramma, una pièce teatrale in cui il palcoscenico cambia continuamente, e io sono sempre un po’ in ritardo, un po’ fuori posto. Ma oggi, i raggi del sole primaverile si posano sulla mia pelle con una delicatezza quasi inquietante, come a cercare di dirmi qualcosa che, forse, ancora non comprendo. Il rumore del mare che arriva da lontano, ovattato dalla distanza, mi riempie le orecchie e mi fa sentire come se fossi nel cuore di una tempesta silenziosa. C’è qualcosa nell’aria, nell’odore di salsedine che entra dalla finestra, che mi parla di una verità che sfugge. Come se, in qualche modo, la realtà stesse cercando di avvolgermi, di prendermi per mano, ma senza voler svelarsi completamente. Non so cosa mi stia accadendo, ma ogni volta che sono qui, tutto sembra rallentare, ogni pensiero diventa più denso, come se il tempo stesso si facesse più solido, più difficile da attraversare. Le ombre che si allungano sul pavimento di legno chiaro sembrano fare il loro gioco, modellandosi sulle crepe della casa, sulle imperfezioni di un luogo che è stato costruito da mani diverse, da storie che non hanno mai finito di intrecciarsi. Mio padre, che ormai è un uomo segnato, appare come un attore stanco di recitare, ma ancora troppo orgoglioso per ammettere che la sua parte è finita. Io, seduta qui, guardo tutto senza davvero vederlo, come se fossi distaccata, come se fossi un osservatrice di qualcosa che non mi appartiene. Eppure, c’è qualcosa in questo silenzio che mi chiama. Un richiamo che non è urgente, ma che mi trascina senza preavviso, come l’acqua di un fiume che scorre senza chiedere permesso, senza fermarsi mai. E io resto qui, immobile, mentre il mondo continua a girare, ignorando che la domanda che mi tormenta da giorni è una di quelle che non si risponde mai.
C’è un momento, però, quando il pensiero si fa più chiaro, quando le risposte sembrano sfiorarmi, ma poi scivolano via come sabbia tra le dita. Non c’è mai un vero punto d’arrivo, un punto in cui tutto si spiega. È come se vivessi sempre sull’orlo di qualcosa che non riesco a definire. Forse è la paura di non appartenere a niente, o forse la consapevolezza che, nonostante tutto, la vita scivola via senza che possiamo fermarla. Lo capisco, ma non so come farci i conti. Ogni pensiero, ogni parola che provo a esprimere, si perde nel caos della mente, come se non avesse mai avuto una forma precisa. È un fluire continuo di idee che si intersecano, che si annodano, e poi si dissolvono senza lasciare traccia. Eppure, ogni tanto, sento come se qualcosa stesse cercando di uscire, qualcosa che non riesco a catturare, ma che è lì, come una melodia appena accennata. Guardando fuori, il mare non smette mai di muoversi. È lì, eterno, ma sempre diverso. Ogni onda è un’altra possibilità, un’altra possibilità che si perde nel niente. Ogni respiro che prendo, ogni battito del cuore, è come una piccola onda che si infrange sulla riva della mia mente, lasciando dietro di sé solo il ricordo della sua esistenza. Le risposte, quelle che cercavo, sono sempre più lontane, ma la domanda resta. Si fa spazio, si espande, cresce dentro di me come una pianta che non ha mai smesso di germogliare.
Mio padre entra nella stanza senza fare rumore, come se non volesse disturbare l’atmosfera sospesa che ci circonda. Non parliamo, non ce n’è bisogno. Le parole tra noi sono diventate superflue, inutili. Ci guardiamo, eppure non ci vediamo davvero. È come se fossimo due figure sfocate, due ombre che si sfiorano senza mai entrare in contatto. Eppure, dentro di me, sento il peso di anni che ci separano, di storie non dette, di silenzi che si sono accumulati, uno sopra l’altro, come le pietre di una casa che ormai non regge più. Ma non mi faccio sentire. Non posso. E allora, resto seduta qui, mentre lui si muove senza fare rumore, mentre tutto intorno a me sembra restare immobile. Il vento che entra dalla finestra muove le tende, ma non mi dà pace. È come se volesse spingermi a dire qualcosa, ma io non posso. Non ancora. Non ora. Forse un giorno, ma non oggi. E mentre penso a tutto questo, la domanda che mi ha accompagnata per tutto questo tempo si fa più pressante. Cos’è che mi trattiene? Cosa mi impedisce di trovare finalmente una risposta? Ogni volta che mi avvicino, sento che c’è sempre un passo in più da fare, una strada che non è mai abbastanza lunga per arrivare dove vorrei. E forse è questo che mi tiene ferma, che mi impedisce di spezzare il silenzio. La consapevolezza che ogni risposta è solo un altro passo verso una domanda ancora più grande. E mi chiedo, mentre il sole scivola lentamente dietro le colline, se riuscirò mai a trovare quella risposta. O se forse, in fondo, la risposta è proprio non trovarla mai.
La casa sembra respirare con me, ogni battito che mi attraversa è anche suo. E mentre il vento si calma, l’ombra che si allunga nel salotto sembra fermarsi per un attimo, come a farmi una domanda che non posso rispondere. Eppure, mentre tutto tace, mi rendo conto che forse, in questo silenzio, c’è qualcosa che ancora non comprendo. C’è qualcosa che sfugge, ma che forse non deve essere compreso. Non ancora. Non ora. E la domanda rimane sospesa, come una porta che non si chiude mai. Ma questo non è un finale. È solo un altro inizio. Un altro pensiero che deve ancora evolversi. Un’altra strada che non si è ancora percorsa. E forse, in fondo, è proprio questo che rende tutto così inquietante. Il fatto che non ci sia mai una fine.
GENOVA.
Remember Me,
Eclipse
“Tempesta silenziosa”… Questa frase mi ha colpito come un pugno. Sai cosa significa per me? È quel tipo di silenzio che precede la catastrofe. La quiete prima di una marea che distrugge tutto. Non ti viene mai da urlare? Come se l’anima sentisse l’urgenza di liberarsi, ma non trova mai la voce?
Grazie per aver condiviso il tuo pensiero, Riot. Quel silenzio, come hai giustamente detto, è carico di qualcosa che non ha ancora trovato il suo sfogo. Un’urgenza che non ha spazio per esprimersi, ma che in qualche modo si fa sentire. È nel silenzio che spesso si nascondono le risposte più forti.
C’è una dolcezza tragica nei tuoi scritti, come un fiorire in un giardino d’inverno. Quell’odore di salsedine che entra dalla finestra mi ha fatto sentire in un sogno sospeso. La delicatezza che avvolge la tua scrittura mi fa pensare a come le cose, pur apparendo lontane, siano sempre vicine al cuore, pronte a colpirlo. Spero che tu possa trovare la serenità che sembra sfuggirti ogni volta.
Giulia, le tue parole sono come un abbraccio silenzioso. La serenità è un concetto sfuggente, forse anche per questo continuo a cercarla. Ma è la ricerca stessa che dà senso al cammino, no? Grazie per il tuo pensiero così delicato.
Mi hai fatto pensare a quanto il tempo possa dilatarsi quando ci fermiamo a riflettere su noi stessi. La lentezza del pensiero è una condizione rara e preziosa. Mi sembra che la tua scrittura sia una ricerca continua per comprendere quella pausa, per dare un nome a un momento che potrebbe sfuggire, ma che è fondamentale.
Grazie, SoulAlessandra. Ogni pensiero che emerge da quella pausa è un frammento che vale la pena raccogliere, anche se sembra insignificante. Il tempo si dilata quando ci concediamo di ascoltare la sua voce, senza fretta di rispondere.
Ogni volta che leggo i tuoi post, mi sembra di entrare in un altro mondo. Non è solo la tua scrittura che cattura, ma anche come riesci a rendere tangibile quel silenzio e quella distanza emotiva che sembrano sempre essere lì, in ogni angolo. Le parole si sciolgono lentamente come il mare che hai descritto, come se dovessi fermarti un momento per raccogliere tutto ciò che stai tentando di spiegare, ma è come se fosse già troppo tardi per capirlo davvero.
Ti ringrazio, Gabberina. Ogni parola che scrivo è una ricerca, un tentativo di afferrare qualcosa che mi sfugge. Il silenzio e la distanza sono sempre presenti, ma sono anche ciò che ci permette di sentire il respiro di ciò che ci circonda. Non c’è mai un momento in cui tutto sia completamente chiaro, ma forse è proprio questo il punto.
Le parole che hai scritto sembrano più che altro un riflesso di ciò che non si riesce a dire. È come se stessi cercando di toccare qualcosa che è lì ma non lo è, come un’ombra che ti scivola accanto senza che tu possa afferrarla. Il silenzio, alla fine, è la lingua che tutti comprendiamo, ma che nessuno vuole affrontare.
Grazie, EmaRiviera. Il silenzio è una lingua che ci parla senza bisogno di parole. Ma è anche quella stessa lingua che evitiamo, che ci fa paura, perché è troppo onesta. Troppo diretta.
Quello che scrivi ha sempre una luce strana, come se fossimo in una stanza buia con una sola finestra, ma ogni volta che il sole entra, lo fa con forza. È come un contrasto che ti lascia senza fiato. A volte non so se ciò che leggo mi fa sentire più vivo o più perso, ma è sempre qualcosa che ti lascia un segno dentro.
Ti ringrazio, CuoreRoveto. La luce che entra improvvisa nella stanza è come un piccolo miracolo che, a volte, non è facile da riconoscere. È un contrasto, sì, che ci spinge a confrontarci con ciò che siamo, con le nostre verità nascoste.
Non posso fare a meno di pensare alla tua casa, al rumore del mare lontano. È strano come un suono che viene da lontano possa essere così potente. In qualche modo, è come se la solitudine del mare rappresentasse quella stessa solitudine che noi stessi proviamo dentro. È inquietante, ma allo stesso tempo… reale.
MetalManzoni, c’è una forza incredibile in quel rumore lontano, come se fosse il mondo che ci parla senza una vera risposta. Un suono che ci scuote ma che rimane distante. Non è facile da affrontare, ma è quella realtà che non possiamo ignorare, anche se ci inquieta.
Tutto questo è un continuo girotondo. Mi piace questa sensazione di rimanere in bilico tra il silenzio e la tempesta. Una danza che non ha mai fine. A volte ci sembra che sia tutto immobile, ma in realtà c’è sempre un movimento nascosto.
Grazie per il tuo pensiero, Bastianello. La danza tra il silenzio e la tempesta è quella che ci tiene vivi. Anche quando sembra tutto fermo, il movimento è sempre presente. Non lo vediamo, ma c’è.
Questa casa che descrivi, mi fa pensare alla solitudine di chi vive in una realtà che sembra non avere un vero senso. Il silenzio è profondo, ma è quello che ci spinge a cercare un significato, anche se lo sappiamo che non arriverà mai. Ma è nella ricerca che si trova la forza, vero?
Grazie, Marcolino. È proprio nella ricerca che si trova la forza di affrontare ciò che ci sfugge. Anche se non troveremo mai una risposta definitiva, ogni passo in avanti ci fa capire qualcosa di più su chi siamo.
C’è una bellezza struggente nel modo in cui parli della tua casa. Come se fosse un luogo in cui non solo vivi, ma in cui ti trovi anche a fare i conti con te stessa. Non ci sono risposte facili, ma ci sono quelle verità che, in qualche modo, ci liberano anche dal dolore.
Ti ringrazio, VibeZena. La casa è un luogo di riflessione, di scontro ma anche di liberazione. Non è mai facile affrontare le verità che ci definiscono, ma è solo attraverso questo confronto che possiamo trovare un po’ di pace.
A volte sembra che tu stia cercando qualcosa che sfugge, ma la realtà è che probabilmente stai cercando te stessa. Non è facile accettare che certe risposte non arrivano mai, ma la continua ricerca le rende più vivide. Sei sempre alla ricerca di qualcosa che, forse, non troverai mai.
Grazie, IronVox. La ricerca di qualcosa che sfugge è, in fondo, la ricerca di ciò che non possiamo comprendere completamente. Ma forse è proprio questo che ci spinge a guardare oltre, a non accontentarci.
Mi ha fatto riflettere quella sensazione di “essere fuori posto” che esprimi. Io lo vedo come un riflesso di un’emotività che non riesce a trovare il suo spazio. Come se ci fosse sempre una distanza tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Non è per forza una tragedia, ma una lotta silenziosa, qualcosa che ci definisce senza che ce ne rendiamo conto.
Grazie per aver catturato quella sensazione, GenovaGirl. Quella distanza che spesso non è visibile agli altri è ciò che ci modella, che ci rende consapevoli di chi siamo. È una lotta silenziosa, sì, ma anche una forma di resistenza che ci permette di definire, almeno in parte, il nostro posto nel mondo.