Gelato, bugie e silenzi

Gelato, bugie e silenzi

Posted on March 20th, 2004 / / 24 Comments
Affinità & Cuore / Feeling gravitationally distorted at 2:51 pm

Ci sono verità che pesano più delle bugie, e silenzi che fanno più rumore di qualsiasi parola. Lo capisci solo quando il silenzio si fa materia, quando si insinua tra le pieghe di una giornata che sembrava innocua, semplice, persino felice. Era una mattina di primavera che sapeva d’estate, con l’odore della brezza che saliva dal mare e si confondeva con quello delle magnolie in fiore. Ma io sentivo un fremito, qualcosa che si muoveva sotto pelle, come una febbre che non ha ancora nome. Un presagio sordo, inspiegabile, che non urlava ma non taceva. C’era nell’aria quel tipo di calma che precede il crollo, eppure nessuno avrebbe potuto prevedere dove e quando avrebbe tremato il terreno sotto i piedi. T. ed io ci eravamo dati appuntamento per un pomeriggio che avrebbe dovuto sciogliere i pensieri, dissolvere i nodi, ridare respiro alla leggerezza che avevamo perso senza accorgercene. Ma il cuore sa sempre prima della mente, e anche quando fingi di non sentire, lui continua a battere con la voce di ciò che taci. A Nervi, lungo quel tratto di lungomare che ho sempre associato a qualcosa di perduto, camminavamo uno accanto all’altra, sfiorandoci appena, come se il contatto diretto fosse un pericolo, come se bastasse un tocco in più per far crollare tutto. Il profumo delle cialde calde si mischiava a quello del sale, e io mi fermavo di tanto in tanto ad osservare il mare, che quel giorno sembrava inquieto, come se anch’esso sapesse. La fila davanti alla gelateria era breve ma bastava a creare quel tempo sospeso in cui non puoi fare altro che pensare. T. parlava poco, e quando lo faceva lo faceva con quel tono basso e profondo che sembrava uscito da una notte troppo lunga. Aveva quel modo di guardarmi che mi faceva sentire nuda, esposta, come se ogni mia emozione fosse scritta sulla pelle e lui fosse l’unico a saperla leggere.

Poi, seduti su una panchina che sapeva di salsedine e confidenze mai dette, con i gelati tra le mani, il mio era un assurdo mix di cioccolato fondente e limone, il suo un pistacchio che sembrava sabbia e fragola che sapeva di qualcosa che non c’era: lui ha detto il mio nome. Lo ha detto come si pronuncia una ferita. Alice. Un nome, una lama, una carezza che taglia. E poi quella frase. Tu… sei gelosa di me e di lei? Come se il mondo, in quell’istante, avesse smesso di ruotare. Come se tutte le onde si fossero ritirate, come se ogni suono si fosse congelato. L’ho sentita prima ancora che arrivasse, quella domanda. Era nell’aria, nei suoi occhi, in quel modo in cui aveva stretto la bocca un attimo prima. Ma sapere che qualcosa sta per accadere non rende meno doloroso l’impatto. La risposta è uscita da sola, con una velocità che non mi apparteneva. No. Assolutamente no. L’ho detto con quella risata nervosa che si usa per coprire le crepe, per mascherare le paure, per dissimulare la verità. L’ho detto con la leggerezza di chi non vuole che l’altro ascolti davvero. Eppure dentro, in quel preciso istante, qualcosa si è rotto. Come una corda troppo tesa, come un vetro già incrinato che decide di cedere. Ho visto il suo sguardo cambiare, distogliersi, tornare altrove. Forse era deluso. Forse sperava in una risposta diversa. Forse era solo stanco di fingere che non ci fosse un abisso tra le nostre parole. Il gelato mi si è sciolto tra le dita, lasciando un sapore amaro che non avevo previsto. Era il sapore del rimorso, della consapevolezza, del tempo che passa senza fermarsi.

Ci siamo alzati, come se nulla fosse accaduto, e abbiamo iniziato a camminare, senza una meta, senza un perché. Ogni passo era un modo per allontanare quello che era stato detto, o forse per avvicinarci a qualcosa che non riuscivamo a dire. Il cielo si era tinto di un arancio tenue, una malinconia che si rifletteva sul mare in un tremolio lento e persistente. Io parlavo, ridevo, riempivo i vuoti con parole che non avevano peso, ma dentro di me ogni frase era un muro, un modo per non crollare. Perché avevo mentito? Perché era più facile così. Perché l’orgoglio, a volte, è un’armatura che pesa, ma che protegge. Perché la verità avrebbe significato spogliarmi, mostrarmi debole, esposta, fragile. E io non volevo. Non potevo. Il cammino del ritorno aveva il sapore di una fine non detta. Le luci della sera accendevano riflessi sul mare scuro, e in quel riflesso ho visto tutti i segreti che non avevamo avuto il coraggio di confessarci. Ho visto il peso delle parole non dette, l’inganno dolce delle mezze verità, la fragilità dei legami che si aggrappano a silenzi troppo pieni. Il profumo della frittura che veniva dai vicoli si mescolava a quello della nostalgia, creando una vertigine che non si poteva raccontare. Ho pensato alla sincerità come a un’arma a doppio taglio. A volte salva, a volte distrugge. Ma quando menti a te stessa, lo senti. Lo senti nei sogni che non fai più, nei sorrisi che non ti appartengono, negli abbracci che non scaldano.

E mentre T. camminava accanto a me, distante anche se vicino, ho sentito che non era solo una questione di gelosia, non era solo una donna di mezzo. Era qualcosa di più profondo. Era la paura di perdersi, la paura di sentirsi troppo, la paura di essere quella che prova più dell’altro. Ed è in quel momento che ho capito che non esiste una verità assoluta, ma solo una moltitudine di verità che si scontrano, che convivono, che lottano per sopravvivere in uno spazio che non le può contenere tutte. Ho continuato a camminare, lasciando che il silenzio parlasse per me. Non avevo più voglia di fingere, ma nemmeno il coraggio di mostrarmi. E così è finita, o forse no. Perché le cose non finiscono mai davvero. Restano sospese, restano in bilico, restano a metà. Come quella panchina vuota sul lungomare. Come quel gelato lasciato a sciogliersi senza fretta. Come il riflesso delle luci che tremano sull’acqua e non sanno se affondare o brillare.

THE END.
Remember me,
Eclipse

24 Responses


  1. Alexiel

    Ho sentito il gelo in ogni parola, ogni respiro, ogni pausa tra le righe. È come se fossi stata lì con te, sul lungomare, a guardare il mare che sa più di quanto possiamo dire. Grazie per aver scritto questo, per avermi fatto sentire che non sono sola nei miei silenzi.

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  2. Eclipse

    Mi sembra che il silenzio sia proprio il punto in cui ci perdiamo tutti, Alexiel. Ma forse è anche lì che ci ritroviamo. Grazie per essere passata, per aver letto senza bisogno di dire. Il silenzio è una lingua che non tutti parlano, e tu l’hai capito.

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  3. Debbh

    Ecco, è così. Come un passo che ti porta lontano, ma quando ti guardi indietro capisci che il cammino non è mai finito. Non so se sono pronta a guardarmi dentro come hai fatto tu, ma leggere queste parole mi ha fatto sentire qualcosa che non sentivo da un po’…

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  4. Eclipse

    Il cammino non è mai finito, Debbh. Forse è proprio quello il punto. Non c’è mai una fine che possiamo segnare con precisione, perché dentro di noi c’è sempre un passo che resta da fare. Leggere è il primo passo, e forse è già abbastanza per farci muovere.

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  5. Nicole

    Non mi piace come mi sento dopo aver letto questo, ma non posso smettere di pensare a quanto hai detto. Mi fa male, è strano, è come se stessi leggendo una parte di me che non sapevo esistesse.

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  6. Eclipse

    Forse è proprio questo che fa male, Nicole. La consapevolezza di quello che non siamo pronti a vedere in noi stessi. La lettura di qualcosa che forse non volevamo nemmeno sapere. Ma forse è il primo passo per imparare a vivere in quella verità che ci spaventa.

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  7. Anny

    Mi sento sempre così, sempre tra verità non dette e bugie che mi raccontano di essere sicura, ma non lo sono mai. Questo post è come una scossa, mi ha fatto pensare a quanto poco sappiamo di noi stessi.

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  8. Eclipse

    Le bugie sono quelle cose che ci cullano per un po’, Anny. Ma prima o poi si sgretolano, sempre. Le verità non dette sono quelle che ci scavano dentro, fino a farci vedere quello che non vogliamo mai ammettere. Ma forse è in quel momento che ci scopriamo per davvero.

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  9. Aly

    Non c’è niente di più vero della paura di essere troppo, di sentirti troppo, di amare troppo. È una sensazione che non si può controllare, eppure ci teniamo stretti a quella paura come fosse una benedizione.

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  10. Eclipse

    Aly, questa paura è come una carezza che ci scivola dentro, che ci consuma e ci fa sentire vivi, ma è anche una trappola che non possiamo evitare. Forse è proprio nell’essere troppo che c’è la bellezza, o forse il dolore. Non lo so, ma camminiamo comunque su questo filo.

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  11. Babilon

    Sospesa. Questo post è come una panchina vuota che non è mai davvero vuota. Eppure è silenziosa, ti guarda senza dirti nulla eppure ti dice tutto.

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  12. Eclipse

    La panchina vuota è il simbolo di tutte le cose che non riusciamo a dire, Babilon. Eppure, è proprio in quel silenzio che possiamo trovare tutto. Le parole, a volte, non sono altro che un inganno, una copertura. Ma il silenzio… il silenzio è la verità che non ha bisogno di essere pronunciata.

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  13. Cenny

    C’è una parte di me che odia il fatto che queste parole mi abbiano toccato così profondamente. Come posso non sentire che questa storia è un po’ anche la mia?

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  14. Eclipse

    Forse è proprio quello che ci rende tutti uguali, Cenny. Le parole che tocchiamo, che sentiamo come nostre, sono quelle che non possiamo dimenticare, anche se vorremmo. La tua reazione è il segno che questo è qualcosa che ci unisce, che ci fa sentire parte di una verità che non possiamo scappare.

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  15. Marty

    Non credo che ci sia mai stato un momento in cui ho capito così bene ciò che provi. È come un gelato che si scioglie e ti lascia con le mani sporche, con quel senso di colpa che non se ne va.

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  16. Eclipse

    Esattamente, Marty. Quello che ci lascia il gelato sciolto è un riflesso di quello che siamo, del nostro bisogno di tenerci tutto dentro. Ma a volte è solo nella fragilità che ci ritroviamo, che capiamo chi siamo davvero, quando non c’è più niente da nascondere.

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  17. Ila

    Leggere questo è come tornare a casa, anche se casa è un posto che non trovo mai. Ci sono così tante cose che non diciamo, eppure sentiamo che ci appartengono.

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  18. Eclipse

    La casa è proprio questo, Ila. Non è un luogo fisico, è un punto in cui siamo noi, in cui le parole che non diciamo sono comunque nostre. A volte siamo più vicini a casa quando siamo più lontani da essa. Perché è dentro di noi che risiedono le verità che non vogliamo rivelare.

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  19. Mateus

    Ho letto questo post e mi sono fermato. Mi ha lasciato senza parole, ma con una sensazione che è difficile da spiegare. Forse è la paura che non si riesce a scacciare.

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  20. Eclipse

    La paura è sempre lì, Mateus, ad aspettarci in un angolo. Ma è anche quella che ci spinge a muoverci, a non rimanere immobili. Ogni parola che non diciamo è una porta che restiamo chiusi dentro. Eppure, è solo quando affrontiamo quella paura che possiamo finalmente sentirci liberi.

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  21. Billa

    Non so come descrivere la sensazione che ho provato leggendo queste parole. Come se mi avessero tolto qualcosa, ma anche dato una verità che non volevo sentire.

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  22. Eclipse

    A volte è proprio così, Billa. Le parole possono ferire, ma spesso è quella ferita che ci fa crescere. È come quando perdiamo qualcosa che credevamo nostro, eppure è proprio in quella perdita che troviamo una parte di noi che non sapevamo nemmeno esistesse.

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  23. Elikatera

    Le tue parole sono come un gelato che si scioglie, che ti scivola tra le mani e lascia solo un sapore amaro. Non credo più nel destino, ma forse in certi momenti sembra davvero che il tempo giochi con noi.

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  24. Eclipse

    È strano come il tempo possa sembrarci un nemico o un alleato, Elikatera. Ma è sempre lì, a osservare, a decidere per noi. Siamo solo piccole schegge in un ingranaggio che non capiamo mai del tutto. E il gelato, come il destino, si scioglie prima che possiamo afferrarlo.

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