
G8: La fine di un sogno
Posted on July 21st, 2001 / Rivoluzione / 0 CommentsPARTE UNO. PARTE DUE. PARTE TRE.
La città di Genova, quella che un tempo era viva, piena di storie da raccontare, è un corpo mutilato, ridotto a rovine. Le strade non sono più quelle che conosco. Non sono più quelle in cui ho camminato, respirando il sale del mare e il calore dei vicoli. Ora sono una ferita aperta, una cicatrice che il tempo non cancellerà. La polvere è ovunque, il fumo avvolge tutto come una coperta pesante. L’odore di bruciato mi entra nelle narici, e mentre mi alzo dal letto, so che non posso scappare. So che qualcosa di grande è accaduto, qualcosa che cambierà tutto. Il suono delle sirene mi arriva lontano, come un’eco che non riesce mai a spegnersi. Non so dove sia cominciato, ma è stato un incendio che ha divorato l’anima della città. I manifestanti hanno acceso il fuoco, ma non è solo un fuoco che brucia materiali. È un fuoco che brucia la speranza, la fiducia. Brucia un sogno, quello che pensavamo potesse essere il riscatto.
Genova doveva essere la città dove i leader mondiali si sarebbero incontrati, si sarebbero confrontati per trovare soluzioni. Doveva essere il punto di partenza per qualcosa di nuovo. E invece è diventata il simbolo di un fallimento.
La fine del G8 non è stata solo la fine di una conferenza, ma la fine di una visione. La fine di una speranza che abbiamo accarezzato troppo a lungo, senza renderci conto che non era mai stata nostra. La violenza non è solo nei gesti dei manifestanti. È anche nelle mani delle forze dell’ordine, che non hanno risparmiato niente. Il caos ha invaso ogni angolo, ogni sguardo, ogni pensiero. Le strade sono state martoriate, le vetrine infrante, le porte abbattute. E mentre tutto questo accadeva, qualcuno, in qualche angolo del mondo, pensava che il dialogo fosse ancora possibile. Eppure, nessuno si è fermato a chiedersi cosa fosse veramente in gioco.
Cos’è rimasto di tutto ciò? Cosa rimane quando i corpi si allontanano e le fiamme si spengono? Non so rispondere. So solo che un mondo intero si è arreso alla rabbia. Un mondo che pensavamo potesse rimanere intatto, ma che ha ceduto sotto il peso del disincanto.
Guardando Genova, mi chiedo se siamo mai stati davvero pronti a cambiare. Se davvero crediamo che il cambiamento possa venire da fuori, dalla politica, dalle promesse, dalle parole. Ma sono solo parole, vuote come la cenere che ora ricopre ogni cosa. L’unico cambiamento che vedo è quello che succede dentro di noi, quando ci rendiamo conto che non possiamo più scappare, che non possiamo più ignorare quello che accade nel nostro paese, nel nostro mondo. Le immagini che arrivano da Genova non sono quelle che ci aspettavamo. Non sono immagini di speranza, di riscatto. Sono immagini di dolore, di disperazione, di un urlo che nessuno ha sentito. Gli occhi di chi protesta sono pieni di rabbia, ma anche di una domanda che nessuno si è mai preso la briga di rispondere. Cos’è la giustizia, davvero? Dove si trova la verità in mezzo a questo caos? Non lo so. E non so nemmeno se voglio saperlo. Perché la violenza? Perché il caos? Perché abbiamo bisogno di distruggere per poter parlare?
Forse, alla fine, siamo solo intrappolati in un circolo vizioso, in cui nessuno ha davvero la forza di fermarsi, di guardare oltre il proprio odio, la propria paura. La violenza è davvero l’unica via? Possiamo davvero costruire qualcosa di diverso, o siamo destinati a rimanere qui, intrappolati, a guardare il mondo che si disgrega? La risposta non c’è. E forse non ci sarà mai. Ma la domanda rimarrà, sospesa nell’aria come il fumo che aleggia sopra le rovine di Genova. È la fine? O è solo l’inizio di una riflessione che non avremmo voluto affrontare? Perché alla fine non è mai una fine. È sempre un altro inizio, una domanda che continua a crescere, una ricerca che non trova mai pace. Siamo pronti a prendere in mano il nostro futuro, a guardarlo in faccia ed a decidere cosa vogliamo fare di tutto questo? Non so se ci riusciremo. Ma la domanda resta, pronta a ripetersi ogni volta che ci fermeremo a riflettere.
THE END.
Remember me,
Eclipse