Ferite invisibili, abbracci universali

Ferite invisibili, abbracci universali

Posted on March 11th, 2004 at 9:00 PM | Tags: | 0 Comments

A volte il mondo crolla senza preavviso. E tutto ciò che resta è un’eco sorda #

Siedo davanti alla televisione, il volume basso ma sufficiente a colpirmi come un sussurro gridato. Il telegiornale annuncia bombe. Madrid trema. Non è la prima volta che la violenza si insinua tra le pieghe di una giornata normale, eppure ogni volta è come una lama che taglia l’aria.

Il profumo del caffè che ho lasciato raffreddare sul tavolo si mescola all’aroma del legno della mia cucina, come se cercasse di ricordarmi che il mondo continua, anche quando tutto sembra fermarsi. Ma fuori dalla finestra, Milano è in silenzio, e quel silenzio pesa più del rumore che esplode nei notiziari. Le immagini scorrono veloci: stazioni distrutte, bagagli abbandonati, volti congelati nella paura. Mi sembra di essere lì, tra quei frammenti di vite spezzate, a respirare un’aria che sa di polvere e ferro. Madrid non è mai stata così lontana, né così vicina.

Mi alzo, incapace di restare ferma. Cammino per casa senza meta, come se muovermi potesse alleviare il peso di ciò che ho appena visto. Ogni passo rimbomba nel pavimento, un’eco vuota che si perde tra le pareti. Penso a loro. A chi aspettava un treno, a chi aveva una vita da vivere, e a chi non tornerà mai più.

Mi avvicino alla finestra. Fuori, le luci della città sembrano più fioche stasera. La vista mi conforta e mi inquieta allo stesso tempo: è tutto così immobile, mentre altrove il mondo crolla. Osservo un passante, il passo lento e la testa china, come se il peso di quella notizia fosse arrivato anche a lui.

«Quanto costa la nostra indifferenza? E quanto pesa la paura di accorgerci che siamo tutti collegati?». Madrid è una ferita che sanguina ovunque. Torno a sedermi, ma il caffè è ormai freddo. Lo porto alle labbra ugualmente, cercando di sentire qualcosa, qualunque cosa che non sia questa impotenza. Eppure, il sapore amaro mi ricorda che certe tragedie non hanno zucchero a sufficienza per essere addolcite.

Spengo la televisione. L’oscurità riempie la stanza, ma non spegne le domande che mi ronzano in testa. Quante vite, quante possibilità distrutte in un istante? Quanti abbracci mai dati, quante parole rimaste sospese? E io, qui, cosa posso fare? Esiste un modo per trasformare questa rabbia in qualcosa che abbia senso? O siamo solo spettatori, intrappolati in un mondo che crolla e ricostruisce se stesso senza mai imparare davvero?

• Remember me,
Eclipse •


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