
Esame o Battaglia?
Posted on June 20th, 2003 / Memoria / 22 CommentsNon so bene da dove iniziare, ma so che devo farlo. Oggi, dopo anni di attesa, è successo. L’ultimo passo, l’ultimo respiro di una storia che sembrava non finire mai, quella storia che per cinque anni è stata la mia vita, il mio respiro, il mio quotidiano. Il liceo scientifico, le formule, i numeri, quei teoremi che ora sembrano lontani, eppure li sento ancora, come se stessero dentro di me, prigionieri. La settimana scorsa gli scritti, oggi l’orale. E ora? Ora c’è un vuoto che non so come definire, che non so nemmeno come affrontare. Un vuoto sottile, invisibile, ma che c’è. Non è sollievo, non è tristezza, è qualcosa che non riesco nemmeno a descrivere, che si annida nel cuore e fa male. Non c’è un nome per questa sensazione, solo un silenzio che non ha risposte. Mi siedo, penso, ma non riesco a mettere ordine in nulla. I ricordi sono confusi, accavallati come le pagine di un libro che non riesci a leggere. Le ore passate a ripetere, a guardarmi allo specchio, cercando di rispondere a una domanda che non sapevo nemmeno fosse lì. Le notti passate con i libri aperti, le mani stanche, le parole che non volevo sentire, eppure ronzavano nella mia testa. E poi l’ansia, quella maledetta sensazione che ti stringe il cuore, che ti fa sentire come se stessi per affogare, come se l’aria non bastasse più. L’ho sentita oggi, l’ansia, mentre aspettavo il mio turno, seduta su quella sedia di plastica che scricchiolava sotto di me. Le mani che tremavano, il battito del cuore che sembrava rimbombare nella stanza. Non c’è scampo, ti afferra, ti tiene prigioniera.
Eppure, quando è arrivato il mio momento, è stato come se tutto fosse diventato silenzio. Un vuoto totale. Il tempo, il pensiero, la paura, tutto si è fermato. Mi sono alzata, ho camminato verso quella porta, e quando l’ho aperta mi sono trovata davanti a loro. La commissione, i loro sguardi impassibili, le facce neutre, come se fossi solo un nome su un foglio, un altro passaggio burocratico. Eppure io non ero un numero. Non ero solo una voce in un elenco. Lì, in quel momento, c’ero io, con tutto il peso di quei cinque anni, con tutta la fatica, la paura, l’incertezza. E ho parlato. Ho parlato come se non ci fosse un domani, come se quelle fossero le ultime parole della mia vita. Non so se ho detto tutto quello che dovevo dire, non so se sono stata chiara. Ma so che ho messo in quelle parole tutto quello che avevo. La determinazione, la paura, la fatica, l’attesa. Quando ho finito, il silenzio ha invaso la stanza, come una nebbia che ti soffoca. E in quel silenzio ho capito che era finita, che non c’era più niente da fare. Era tutto lì, sospeso nell’aria, come una nota che non vuole smettere di risuonare.
Ora sono a casa, seduta nella mia stanza. Il quaderno è davanti a me, aperto, eppure non so cosa scrivere. Non so perché lo faccio. Forse per fermare il momento, per non dimenticare come mi sento, perché so che tra poco tutto questo sembrerà lontano, come se non fosse mai successo. Ma è stato reale. E questo vuoto, questa sensazione di non sapere cosa fare, è reale. È la verità che mi porto dentro. Le ore di studio, la paura, l’ansia, la soddisfazione. Tutto vero. Ma c’è anche quel vuoto, quell’incolmabile spazio che mi stringe dentro, come se avessi raggiunto una vetta e guardandomi intorno non vedessi niente. Solo il cielo, silenzioso e infinito. E io, là in alto, in bilico. Non so se voglio restare o scendere, tornare alla vita di prima, alla vita che conoscevo. Ma so che non posso. So che nulla sarà più come prima. Non potrà mai esserlo. Forse questo è il significato della maturità. Non è un voto, non è un esame, non è un pezzo di carta che ti dice se sei riuscita o meno. È qualcosa che non si vede, ma si sente. È un cambiamento che ti scava dentro, una parte di te che resta lì, in quella stanza, mentre un’altra parte di te va avanti, senza fermarsi. E io sono qui, sospesa, a cercare di capire chi sono, cosa voglio. A domandarmi dove sto andando. Ma non trovo risposte. Trovo solo altre domande. E forse è giusto così. Forse non c’è bisogno di rispondere, ma solo di vivere le domande, di sentire il peso di un’incertezza che non finisce mai. Perché è proprio nell’incertezza che si nasconde la bellezza, la possibilità di scoprire qualcosa che non immaginavi.
Chiudo gli occhi. Respiro. Sento il silenzio. Un silenzio che è assordante, che arriva dopo il rumore, dopo il caos. Ma so che questo silenzio non è una fine. È solo una pausa. Un momento sospeso, che lascia spazio a ciò che verrà. Domani ricomincerà tutto. Ma sarà diverso. E io sarò diversa. Non so come andrà, ma so che ho vissuto tutto questo con intensità, con consapevolezza. E questo mi basta. Perché, qualunque cosa accada, tutto ciò che ho vissuto oggi, la paura, il dolore, la fatica, la soddisfazione, sono diventati parte di me. Non li perderò mai. Li porterò con me come un bagaglio invisibile, ma pesante. Mi ricorderanno chi sono, da dove vengo. Chiudo il quaderno. Ma so che non è finita. La scrittura non finisce mai. È solo un passo in un cammino che non ha fine. E io continuerò a camminare. A cercare. A vivere. Perché è questo che conta. Vivere.
Resilience.
• remember me
• Eclipse •
Capisco la tua frustrazione. Quando tutto sembra svanire, non c’è nemmeno il tempo per capire cosa fare dopo. La mia esperienza è stata simile, solo che, con il tempo, ho imparato ad apprezzare quella sensazione di vuoto. Non è tutto negativo, è un nuovo inizio mascherato da qualcosa che ci sembra incompleto.
Esatto, GenovaGirl. Quel vuoto, con il tempo, si trasforma in spazio per qualcosa di nuovo. Non sempre lo vediamo subito, ma non è mai veramente negativo. È la nostra reazione a ciò che ci manca che ci definisce.
Il vuoto che descrivi è qualcosa che tutti abbiamo provato. Però non sono d’accordo quando dici che non c’è sollievo. Io penso che, a volte, quel vuoto può essere il sollievo che cerchiamo, se solo impariamo ad accettarlo come parte del nostro percorso. La pace arriva quando smettiamo di resistere.
Hai ragione, VibeZena. A volte, accettare il vuoto è proprio quello che ci permette di trovare la pace che cerchiamo. Non è facile, ma è forse l’unica strada possibile per andare avanti.
Ogni volta che finisce qualcosa, è come se fosse la fine di una parte di te stesso. Eppure, tu sembri quasi rassegnata, come se non sapessi più cosa fare dopo. Non è un vuoto quello che senti, è solo paura di affrontare ciò che viene dopo. Bisogna affrontarlo, non tirarsi indietro.
Non si tratta di paura, Bastianello. È più una riflessione su cosa significa veramente un “nuovo inizio”. Non sempre ci sono risposte pronte a quel che ci attende, e quel vuoto non è solo paura, è anche incertezza, un momento di transizione che ci fa riflettere prima di agire.
Non riesco a non sentire la stessa sensazione di vuoto che descrivi. È come se, una volta superato il traguardo, non ci fosse più nulla che mi tenesse in piedi. Non è tristezza, è solo un buco, un assenza che non riesco a colmare. La gente pensa che sia tutto finito, ma c’è qualcosa di più profondo in questo momento che non riesco a spiegare. È come una battaglia vinta che ti lascia solo con la sensazione di essere ormai un altro. Una guerra che nessuno vede.
Hai descritto con parole forti qualcosa che sento dentro di me. È davvero difficile mettere in parole quello che proviamo quando finisce qualcosa che ci ha formato, ma è vero: il vuoto non è sollievo, non è tristezza. È solo un’assenza. C’è una strana sensazione di perdita che ti fa sentire come se non appartenessi più a nessun posto.
Ti capisco bene, ma il vuoto non è mai il finale. È solo una pausa, un momento di respiro prima che inizi qualcosa di nuovo. Non pensare che sia la fine, è solo l’inizio di qualcos’altro.
Hai ragione, CuoreRoveto. A volte, il vuoto è solo il preludio a qualcosa che deve ancora venire. Non è la fine, è un nuovo inizio, anche se non sempre vediamo subito cosa c’è dopo.
Che cavolo è quel “vuoto” di cui parli? Io, dopo ogni fine, sento solo rabbia e frustrazione. Non c’è niente di romantico in questo. A volte penso che, piuttosto che quel silenzio che senti, sarebbe meglio lottare fino all’ultimo. Ma tu ti stai arrendendo al vuoto? È questo il tuo punto?
Non è una resa, MetalManzoni, è solo un altro modo di affrontare il cambiamento. Non sempre la rabbia o la frustrazione sono la risposta. A volte è il silenzio che ci permette di ascoltarci veramente, di capire chi siamo ora, dopo il cammino che abbiamo fatto.
Le tue parole mi hanno toccato profondamente. Capisco quel vuoto che senti, quella sensazione di non sapere cosa fare una volta che tutto è finito. Io, spesso, mi sento come se la mia vita fosse fatta di momenti che non riesco a trattenere, eppure continuo a sperare che arrivi un’altra opportunità per sentirmi viva davvero. È difficile, ma bisogna andare avanti.
Sì, Giulia, non è facile andare avanti quando c’è quella sensazione di non sapere più dove andare. Come se tutto fosse troppo confuso per capirne il significato. Ma forse, proprio in quel vuoto, si nasconde la possibilità di ricominciare, di esplorare nuovi orizzonti.
A volte mi sembra di vivere tra ricordi che non voglio più, e vuoti che non so come riempire. Ti capisco perfettamente. Ma forse, dentro quel vuoto, c’è anche il seme di una nuova possibilità. Qualcosa che, purtroppo, non vediamo finché non smettiamo di lottare contro di esso.
Hai ragione, SoulAlessandra, dentro quel vuoto c’è il potenziale di ricominciare, anche se non sempre siamo pronti a vederlo. È difficile vedere la luce quando siamo intrappolati nelle ombre dei ricordi, ma qualcosa di nuovo può nascere, anche senza che lo cerchiamo.
Ogni volta che finisce qualcosa, mi sento come se stessi perdendo una parte di me, qualcosa che mi definiva. Però poi capisco che forse quella parte era solo un’illusione, una parte di me che doveva essere lasciata andare per far spazio a qualcos’altro.
Esattamente, LunaFarfalla. Non siamo mai veramente gli stessi dopo ogni fine. Quello che perdiamo è solo una parte di ciò che pensavamo di essere. Il bello è che, ogni volta che lasciamo andare, facciamo spazio a nuove possibilità.
Vivere quel vuoto è difficile. La gente non capisce che non è solo “niente”. È una sorta di disorientamento. Ci siamo abituati all’idea che ogni cosa debba avere un obiettivo. Eppure, quando tutto finisce, non c’è più niente da cercare. Solo un silenzio che fa paura.
È proprio così, IronVox. Quel vuoto non è “niente”, è un disorientamento che ci fa perdere il punto di riferimento. Ma, forse, proprio in quel silenzio, possiamo trovare la forza di guardare in avanti e cercare un nuovo obiettivo, sebbene non sappiamo ancora cosa sia.
Il tuo post mi ha messo in crisi. Non capisco perché tu stia riflettendo su un vuoto quando potresti solo guardare avanti. Ci sono cose che aspettano di essere fatte. Non puoi vivere nel passato, anche se può essere doloroso. Ma devi andare oltre.
Non è vivere nel passato, Radicale, è solo un momento di riflessione. Non possiamo sempre guardare solo avanti. A volte bisogna fermarsi, guardarsi dentro e capire cosa portiamo con noi prima di proseguire.