La notte ha il sapore del sale e del tempo che non si lascia afferrare. Genova respira nel buio, la sua pelle di pietra e mare si distende sotto il peso di un’aria che porta il sussurro di storie dimenticate, di promesse fatte e mai mantenute. C’è qualcosa che pulsa nel ventre della città, una corrente sotterranea che spinge le persone a cercarsi, a sfiorarsi, a perdersi senza sapere se vorranno ritrovarsi. L’inverno sembra un’illusione, eppure è lì, nei fiati sospesi nell’aria, nei passi che risuonano contro le facciate secolari, nei lampioni che disegnano ombre incerte sull’acciottolato umido. T. non ha detto una parola quando ha afferrato la mia mano. Un gesto deciso, senza esitazione. Un comando silenzioso che non ammetteva rifiuti. Le sue dita erano calde, solide, un’ancora nell’indefinito di quella notte. Il porto si estendeva davanti a noi, uno specchio d’acqua nero increspato dai riflessi delle luci lontane. Il brusio delle persone si mescolava al respiro della città, creando una sinfonia di vita che si muoveva all’unisono. Sapevo che stavamo per attraversare un confine invisibile, quello che separa il presente dal ricordo, il reale dal possibile. E non c’era più niente che potesse fermarci. I fuochi d’artificio squarciano la notte. Lampi di luce esplodono nell’oscurità, disegnano costellazioni che durano il tempo di un battito di ciglia prima di dissolversi nel nulla. Il cielo si accende, si frantuma, si ricompone in una danza di colori che pare un ultimo disperato tentativo di fermare il tempo. Ogni scintilla è un frammento di sogno che si consuma nell’aria. E io resto lì, con il fiato sospeso, a sentire il rumore sordo dell’istante che si sgretola tra le dita. La magia di quei momenti non è nella loro bellezza, ma nella consapevolezza che stanno già morendo mentre li vivi.
E poi, l’unico silenzio possibile. Quello che segue l’eco dell’esplosione, che avvolge tutto in una calma irreale. È in quel vuoto che sento la sua mano stringersi di più. Mi volto e trovo i suoi occhi. Dentro c’è tutto: il peso delle parole non dette, il tempo che ci ha sfiorato senza mai toccarci veramente, la paura di ciò che potrebbe essere e di ciò che non sarà mai. Il sorriso di T. non è un gesto, è un respiro, una pausa nel caos del mondo. Un istante prima del precipizio. Il bacio arriva come un sigillo su qualcosa che non sappiamo nemmeno definire. Non è solo un contatto, è una sentenza. Qualcosa si spezza e qualcos’altro si ricompone in una forma che non riconosco. Il suo sapore è quello di una promessa non pronunciata, di una certezza che non chiede conferme. È la sensazione di cadere senza sapere se ci sarà una rete a fermarti. E non importa. In quell’attimo, nell’universo chiuso di quel gesto, tutto il resto scompare. Non esistono domande, non esistono risposte. Solo il calore della sua pelle contro la mia, il battito accelerato di due cuori che provano a sincronizzarsi, il respiro trattenuto nel timore di rompere l’incantesimo.
Eppure, anche nell’assoluto di quel momento, c’è qualcosa che manca. Un’assenza sottile che si insinua nei pensieri, una crepa invisibile che si allarga piano. È il vuoto che segue la pienezza, l’eco di ciò che non può essere trattenuto. Ci stacchiamo lentamente, e il mondo riprende il suo corso. La folla continua a scivolare intorno a noi, le risate si disperdono nell’aria, il mare resta lì, immutabile, a osservare il nostro tentativo disperato di fermare l’inevitabile. Ma la notte non concede tregua, non permette ripensamenti. Ci ricorda che tutto scorre, che nulla resta davvero. L’istante si frantuma. Il porto, le luci, i suoni tornano ad avvolgerci come una marea che risucchia ciò che aveva concesso per un breve, brevissimo momento. Avrei voluto restare lì, sospesa nell’eterno, ma la realtà è una sentenza che non si può evitare. Il tempo riprende il suo corso, inarrestabile. E io resto con la sensazione che qualcosa sia sfuggito, che ci sia sempre un pezzo che non si riesce a trattenere, un frammento che si perde nel flusso inarrestabile della vita.
Perché è sempre così. Viviamo attimi che sembrano bastare a se stessi, ma subito dopo ci accorgiamo che ci lasciano con un vuoto impossibile da colmare. È l’illusione dell’eternità, la menzogna dolce di un momento perfetto che non può durare. E allora ci aggrappiamo ai ricordi, ai dettagli, alla pelle che ancora brucia di un bacio che ormai è già passato. Cerchiamo di trattenere l’eco di un’emozione, sapendo che non tornerà mai nella stessa forma. Ma chi stabilisce quando un istante deve finire? Forse non finisce mai del tutto. Forse, continua a vivere in noi, nel modo in cui cambia il nostro sguardo, nel battito che rallenta ma non si spegne, nell’incompletezza che diventa parte di ciò che siamo. E se ogni bacio è una fiamma che si spegne, allora non resta che imparare a guardare il fuoco, lasciarsi bruciare, accettare la cenere che ne rimane. Non c’è niente di più vero. Il resto è solo silenzio.
Cin Cin.
Remember me,
Eclipse