Autocura intima

Autocura intima

Posted on March 22nd, 2025 / / 0 Comments
Materia & Spirito / Feeling cosmically pure at 5:29 pm

Ci sono giorni che iniziano come un soffio appena accennato, un respiro trattenuto tra il cielo lattiginoso e l’odore del tram mattutino. Oggi Amsterdam sembra piegarsi in una calma che non ferisce, ma accoglie. Le strade umide brillano sotto una luce opaca, e nei miei passi c’è un ritmo che non ho scelto, ma che si muove dentro di me come se mi appartenesse da sempre. Ho bisogno di silenzio, ho bisogno di spazio, ho bisogno di me. La città mi guarda con occhi velati, e io la sfioro senza fretta, lasciando che ogni angolo mi parli nella sua lingua ruvida e tenera. Entro in libreria come si entra in una chiesa, in punta di piedi, senza fare rumore, con quella devozione che non ha bisogno di fede ma solo di ascolto. I libri mi respirano addosso, le pagine sussurrano storie che non conosco, formule che sembrano preghiere scritte da chi non ha mai smesso di cercare il significato del tempo. Sfioro le copertine come pelle viva, riconosco nella carta l’odore delle notti insonni, dei pensieri che non si lasciano addomesticare. Ne prendo uno. La voce di uno scienziato che scrive come se stesse morendo, come se ogni parola fosse l’ultima possibilità di spiegare al mondo ciò che non si può spiegare. La fisica si fa carne, la teoria si fa sussurro, lo zero torna a parlarmi come se fosse Dio. Lo stringo a me come si stringe qualcosa che non si vuole perdere, e fuori il vento mi accarezza con dita fredde ma gentili.

Scivolo in un caffè nascosto tra le foglie ancora umide del canale, un posto che sembra essere lì solo per chi sa trovarlo. Mi siedo in un angolo, con la schiena contro la parete tiepida, il libro sulle ginocchia e le mani strette attorno a una tazza bollente. Il profumo di arancia e rosmarino si alza lentamente, come un canto antico che conosce le mie cicatrici. Sorseggio piano, come se il tempo potesse rallentare con me, come se ogni goccia fosse un balsamo capace di lavare via la stanchezza sottile che mi porto addosso da giorni. Le pagine scorrono, la mente si piega, si apre, si contorce. Le parole dell’autore si intrecciano con i miei pensieri, la scienza si fa poesia, la conoscenza si fa pelle, il sapere mi attraversa come un brivido che non si spegne. E tutto si mescola: il calore della bevanda, il freddo fuori, le voci leggere che si muovono intorno senza disturbare. Il mondo continua, ma io sono ferma in quel momento perfetto che non ha bisogno di niente, se non di essere vissuto. Cammino ancora, lasciando che i passi mi conducano senza meta precisa, con il libro stretto al petto come un amuleto. I rami nudi degli alberi sembrano disegnare linee sul cielo, come grafici impazziti, formule disordinate scritte da una natura che non vuole essere capita. L’acqua scorre lenta nei canali, riflette un sole timido che non osa mostrarsi. E in tutto questo, io mi sento sospesa, tra ciò che ero stamattina e ciò che sarò stasera, in quel punto esatto dove il tempo si ferma ma non smette di passare.

Entro nella sauna come si entra in una caverna sacra, lasciando fuori tutto ciò che non serve, tutto ciò che pesa, tutto ciò che graffia. Il vapore mi abbraccia, entra nei pori, scioglie il ghiaccio accumulato nel respiro. Il corpo si ammorbidisce, si rilassa, si piega senza resistere. Sento le spalle cedere, sento le gambe diventare leggere, sento il cuore rallentare come se stesse finalmente ascoltando la mia voce. Il calore non è solo fisico, è una discesa dentro, un’apertura silenziosa che non chiede spiegazioni. Resto in silenzio, ascolto il rumore del sudore che scende lento, della pelle che si libera. Non c’è nulla da fare, solo stare, solo lasciarsi attraversare da questo niente che è tutto. Le pareti sfumano, il respiro si fa più lento, la mente si svuota e finalmente tace. E lì, in quella nudità profonda, sento che sto tornando a me. Senza artifici. Senza parole. Solo io. Mi sdraio nella sala relax, coperta da un telo ruvido che mi graffia appena la pelle, come un ricordo che non vuole svanire. Le luci sono basse, i suoni ovattati. Un’arancia affettata profuma l’aria, il rosmarino si mescola al legno caldo del pavimento. E in quella mescolanza di odori, di sensazioni, di pelle e silenzio, sento qualcosa farsi più chiaro, più denso, più vero. Il libro è lì, sul tavolino accanto, ancora impregnato del mio odore, delle mie dita, del mio tempo. Ogni parola che ho letto oggi è diventata parte di me, un frammento che si è infilato tra le costole senza chiedere il permesso. E ora resta lì, a ricordarmi che c’è ancora tanto da scrivere, tanto da vivere, tanto da lasciare incompiuto.

Torno a casa a piedi, con le guance calde e gli occhi pieni di quella stanchezza dolce che non pesa ma accarezza. Le luci si accendono una a una lungo il canale, i passi si fanno più lenti, il vento torna a sfiorarmi come un vecchio amante che sa dove toccare senza far male. Non parlo, non penso, non cerco. Mi lascio solo portare, come se fossi parte del paesaggio, parte della città, parte di quel tempo che oggi non ha avuto confini. Il giorno non è finito, ma qualcosa in me si è spento e acceso insieme, in quel modo strano in cui solo la verità sa lasciare il segno. E in questo silenzio che si dilata, in questa luce che si ritira piano, sento che ogni gesto, ogni parola, ogni respiro ha composto un rituale segreto di amore per me stessa, un ritorno lento e necessario a ciò che mi abita. Ed è qui che tutto resta sospeso, senza conclusione, senza forma, come un battito che continua, invisibile, sotto la pelle.


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