Una mente nascosta #
Il silenzio della stanza è come un respiro che si ferma nel momento in cui il film inizia, eppure il rumore delle sue parole mi segue, mi graffia, mi pervade. Non c’è un respiro che non si intrecci con quello che vedo, con quello che sento. La mente è un labirinto, eppure il suo percorso è inevitabile, come un cammino che non puoi evitare, anche se sai che potrebbe portarti da qualche parte che non conosci. La storia di Nash è un piccolo viaggio dentro la solitudine di chi ha visto il mondo con occhi diversi, ma non l’ha mai potuto raccontare. Quante volte non raccontiamo noi stessi? Quante volte la nostra mente è costretta a fare i conti con il mondo che non capisce? Eppure, è in quel mistero che si nasconde la verità. Il film non è solo la storia di un genio, ma di un uomo che perde se stesso per trovare una verità che nessuno capisce. Non è la genialità che mi colpisce, ma il disorientamento, il caos che emerge quando la mente si fa terra di conquista di qualcosa che non possiamo toccare. La sua ricerca è disperata, come un grido che non ha voce, come una lacrima che non ha più un volto. La mente che scivola nel buio, che non sa più di cosa è fatta. Mi sembra di sentirla, quella sensazione, come se fosse la mia, come se lo fosse stata da sempre. Le domande si affollano, non come se cercassi una risposta, ma come se volessi scoprire dove finisce il mistero.
La luce della sua mente, brillante e abbagliante, mi travolge. Perché lo fa? Cosa vuol dire davvero essere geniali? È possibile mantenere un equilibrio tra ciò che siamo e ciò che gli altri vedono in noi? Come si vive quando sei costretto a separarti da quello che sei per adattarti a ciò che gli altri vogliono che tu sia? La sua lotta non è solo contro la follia, è contro l’essenza stessa di ciò che significa esistere. L’inquietudine della sua mente è quella stessa inquietudine che si annida in ognuno di noi, che ci spinge a cercare un senso anche quando il senso non c’è. Nash è solo un uomo. Un uomo che ha fatto dei conti con il proprio cuore, e ha scoperto che nessun ragionamento può essere puro se non parte da lì. La sua mente è un puzzle che si distrugge e si ricompone. E nel ricomporlo, trovo una riflessione che non posso ignorare: siamo tutti, in qualche modo, alla ricerca di una stabilità che non arriva mai. Forse la stabilità non esiste. Forse è solo un’illusione che ci permettiamo di cercare per evitare di confrontarci con la verità più grande: quella di essere incompleti, sempre e per sempre.
E mentre il film scivola via, mi chiedo se la genialità, in fondo, non sia proprio questa: la capacità di sopportare il caos e restare comunque in piedi. Forse è proprio in quel caos che si trova la vera bellezza, la vera forza. Non è una forza che si vede, ma che si percepisce. Si fa strada in silenzio, si fa largo tra le crepe, proprio come le emozioni che, a volte, non vogliono essere vissute. Come il dolore che si fa spazio in un angolo nascosto, ma che non cessa mai di esistere. Ed ora, in questo silenzio che mi avvolge, mi domando: c’è davvero un limite tra la lucidità e la follia? O forse siamo tutti, a nostro modo, un po’ folli? Folli nella ricerca, folli nel voler capire, folli nel desiderio di trovare una risposta che non arriva mai. Cos’è la normalità, se non una convenzione imposta da chi non ha mai osato guardare oltre? E, forse, la domanda più importante: è possibile davvero capire chi siamo, o il nostro essere è destinato a restare un enigma, sempre incompleto, sempre in attesa di una risposta che non arriverà mai? Rimango lì, sospesa, in questo pensiero che mi attraversa, senza trovare una fine. Ogni riflessione sembra essere solo un altro passo verso un altro pensiero, che mi porta lontano, lontano da una verità che non posso più raggiungere. Eppure, è proprio questa distanza, questa incompiutezza, che rende tutto così vivo, così vero. Non c’è mai un punto finale, solo un cammino che continua, senza mai fermarsi. E la bellezza di questo viaggio sta proprio nel fatto che, forse, non avremo mai una risposta. Eppure, ogni passo conta.
The end.
Remember me,
Eclipse