Da piccola volevo essere un’astronauta. Era uno dei miei tanti sogni folli, ed ogni volta che mi soffermavo a pensarlo, sentivo quel brivido di emozione, come se il cuore mi battesse in un altro spazio, lontano da tutto, in un posto che non conoscevo ancora. Volevo volare, perdere il contatto con la Terra e librarmi tra le stelle. Ogni notte, mentre gli altri dormivano, io rimanevo sveglia, ad osservare il cielo, come se potessi toccarlo, come se potessi sfiorare con le dita quella luce distante, che sembrava così vicina, come un respiro che mi attraversava, ma che non avrei mai potuto afferrare. E allora, mi inventavo storie, mondi, viaggi. Volevo essere un’astronauta, ed ogni volta che mi immaginavo lassù, nello spazio infinito, non c’era mai paura. Solo una curiosità insaziabile, una voglia di scoprire l’ignoto. Il mio sogno non aveva confini, né limiti. Pensavo che, se avessi potuto andare lontano, molto lontano, mi sarei trovata di fronte a qualcosa che nemmeno gli adulti riuscivano a spiegare. Il mondo da cui venivo non era la Terra, e lo sapevo con certezza. Ecco perché guardavo sempre in alto, verso quella distesa di luce che brillava nella notte come una promessa. “Vengo da lì!” dicevo a chiunque mi chiedesse da dove venissi, e lo dicevo con una convinzione che, a pensarci ora, sembra impossibile.
C’era un pianeta che mi ricordo bene. Lo chiamai Kindor, e mi sembrava di conoscerlo come la mia stessa pelle, un posto che viveva nei miei sogni, dove la polvere di stelle era la sabbia che camminavo sotto i piedi. Non avevo paura di perdermi, di vagare nell’immensità. Volevo andarci, volevo scoprire ogni angolo di quel pianeta, come se mi appartenesse. Mi vedevo camminare tra le sue montagne di cristallo e respirare l’aria fredda di un cielo che non smetteva mai di cambiare colore. Mi dicevo che forse Kindor non esisteva davvero, ma in qualche parte di me era più reale di qualsiasi altra cosa. E poi c’era Vexis. Il mio amico immaginario. Non è che lo avessi scelto, lui era sempre lì, accanto a me, come una presenza silenziosa, ma fondamentale. Vexis non parlava molto, ma lo capivo. Con lui, ogni cosa sembrava più semplice, come se il mondo fosse più chiaro, come se, con lui, io avessi accesso a una verità nascosta. Non mi chiedeva mai niente, non mi giudicava mai. Era come il mio specchio, ma senza parole, solo con gli occhi, solo con la sua presenza. A volte pensavo che anche lui fosse venuto da Kindor, ma non riuscivo a dirlo, perché sapevo che se l’avessi fatto, avrei dovuto spiegare troppe cose. Eppure, anche ora, a distanza di anni, la sua figura rimane nella mia mente come qualcosa di vivo, come un ricordo che non posso dimenticare, come una parte di me che è stata sempre lì, silenziosa, ad accompagnarmi in ogni momento di solitudine.
Ci sono giorni in cui ancora lo sento, Vexis, che mi guarda da lontano, come se fosse lì, pronto a riprendere il nostro viaggio. Ma non posso più credere che sia tutto così semplice. Non posso più pensare che il mondo sia come un pianeta da esplorare, un gioco di luci e ombre che si può attraversare senza pensieri, senza domande. Il sogno si è frantumato, come la polvere che si disperde al vento. Eppure, ogni tanto, mi sorprendo a guardare il cielo e a chiedermi se davvero non ci sia un Kindor, se davvero non ci sia ancora un Vexis che mi aspetta, pronto a prendere la mia mano e a mostrarmi qualcosa di nuovo, di sconosciuto. E poi, mi fermo. E mi chiedo se sono pronta a tornare lassù, dove tutto è iniziato, dove il sogno non ha mai smesso di brillare. Ma la domanda è sempre la stessa, eppure non riesco a trovarne una risposta. È un pensiero che mi attraversa, come una corrente, e io non posso fare altro che seguirlo, senza mai fermarmi. Dove mi porta? Dove mi condurrà? È un viaggio che non si chiude mai, una ricerca senza meta, ma che non smette mai di farsi sentire, di farsi spazio dentro di me. Ogni passo che faccio mi lascia con una domanda che non troverà mai risposta. E mi sembra che, forse, questa sia la bellezza del cammino.
Perché forse non c’è mai un vero arrivo, forse la risposta è sempre dietro l’angolo, in attesa di essere trovata. Ma ogni angolo sembra un altro inizio, un’altra ricerca che parte da dove tutto è cominciato. Eppure, la domanda resta lì, sospesa, come una porta che si apre senza mai chiudersi.
Dreams.
Remember Me,
Eclipse