C’è un momento in cui la mente inizia a confondersi. Non avviene mai come lo immagini, non c’è mai un segnale chiaro che ti avverta del cambiamento, che ti dica: «Questo è il momento, ora si inizia». Eppure accade, senza preavviso. È come una nube che si forma, che avvolge tutto senza chiedere permesso, e quando pensi di averla scacciata, quella nebbia si fa ancora più densa, più persistente. Ho sempre creduto che il nostro cervello fosse un archivio perfetto, che separasse ogni cosa con ordine. Poi, un giorno, arrivi a un punto in cui non ricordi più il nome di una persona che conosci da anni. Oppure peggio: mescoli i volti con altre immagini, quelle che non appartengono a nessuno. Quei volti, quei nomi, si intrecciano, si sovrappongono, come ombre che passano in fretta, e tu rimani lì, sospesa, tra un passato che non riesci a afferrare e un presente che non riesci a riconoscere.
Non c’è nulla di più imbarazzante. Sorridi a qualcuno, mentre dentro di te c’è quel vuoto, quella ricerca che non si ferma mai. Quel sorriso che tenti di tenere fisso, sperando che il suo nome arrivi dal profondo, che il collegamento tra la sua faccia e il ricordo di chi è arrivi come una rivelazione. Ma non arriva. La tua mente, incapace di decifrare, si ferma, si blocca. Non c’è nulla di più disarmante. Non ci sono parole. Non c’è niente di più vulnerabile che sentirsi così, persa, smarrita. Come un labirinto di ricordi che non riesci a risolvere. Ti sforzi, ci provi, eppure non accade mai. E quando, finalmente, riesci a ricordare il nome di quella persona, ti senti come se avessi vinto una battaglia. Ma è una vittoria amara, perché nel profondo sai che la prossima volta potrebbe non arrivare in tempo. Ma perché i nomi sono così difficili da afferrare? Cos’è che li rende sfuggenti, come se fossero afferrati da mani invisibili? Non è forse che, a volte, siamo troppo pieni di altre cose? Che il cuore, la mente, la vita stessa, sono già così ingombranti che non c’è più spazio per i dettagli? Forse non possiamo trattenere tutto, forse dobbiamo lasciare che alcune cose si dissolvano. Le emozioni, i ricordi, i pezzi di vita che ci assorbono, e il resto svanisce nel caos che rimane. Ogni nome è un legame, un filo che ci tiene legati al mondo, ma a volte, questo filo è troppo sottile, troppo fragile.
Eppure, quante volte dimentichiamo cose importanti? Eppure, ogni volto che non riusciamo a nominare lascia il suo segno, come una ferita che non guarisce. Ogni volto che si perde nei recessi della mente è come un segreto che non puoi svelare. Non basta un sorriso per sistemare la questione. E lì, in quella sospensione, c’è l’incompiutezza. C’è quella sensazione che ci accompagna in ogni passo: che non riusciremo mai a mettere insieme tutte le tessere di questo puzzle. Ma è forse questo il punto? Non è forse questa l’umanità che ci definisce, quella nostra debolezza che ci rende autentici? Non è proprio questa la nostra verità? Quella di dimenticare, eppure non essere mai veramente liberi da ciò che abbiamo dimenticato. Ci sono persone che ti chiedono di ricordare, e tu ti chiedi se loro ricordano davvero te. O se ricordano solo la versione che hai deciso di mostrare loro. Ma chi può davvero giudicare la memoria di un essere umano? Quando è il momento giusto per dimenticare e quando è il momento giusto per ricordare? La verità è che dimentichiamo perché non possiamo portare con noi tutto. Non possiamo. E quando qualcuno ci chiede di ricordare, lo facciamo. Ma a metà. Con un angolo del cuore che resta in sospeso, come un ricordo che non si riesce a completare, ma che continua ad esistere.
The end.
Remember me,
Eclipse