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Sospesi tra desiderio e paura

C’è qualcosa di inquietante nell’idea di mettere ordine ai volti che mi hanno attraversato. È come se ogni volto dovesse essere catalogato, come se il solo fatto di assegnargli un nome mi obbligasse a portarne il peso. È un atto quasi solenne, uno di quelli che ti fanno sentire vulnerabile, nuda, come se stessi esponendo la tua intimità più segreta. Quella parte di te che di solito cerchi di nascondere, quella che non si racconta mai, che non esce mai dalle labbra. Eppure, è lì, in un angolo buio della tua mente, come un ricordo da esorcizzare. Mi tornano in mente frammenti, piccole scene di un film che non rivedrei mai. Un cult, uno di quelli che tutti guardano, ma che non ha più nulla da dire. La protagonista sorride e con leggerezza inizia a elencare tutti i suoi ex. È quasi una scena divertente, se non fosse per il sorriso che cerca di nascondere qualcosa di molto più profondo. Una fatica, una fatica che non ammette. Un gioco che non lo è, un atto di vulnerabilità. E io, mi ritrovo a chiedermi: quanto dolore c’è davvero dietro ogni sorriso che nasconde una lista di amori, di fallimenti, di tentativi mai raccontati?

Ogni nome che scivola via è come un peso che rimane, nascosto ma vivo, un marchio invisibile che traccia il corpo. Ogni volto, ogni numero, ci definisce, ci giudica. Non è che io abbia scelto di metterli in fila. Non è che io voglia catalogare la mia vita. Ma è inevitabile. Ogni volto è una traccia, un’orma che si impone, come se l’esperienza si potesse misurare solo con i volti che ci hanno toccato. La memoria è un archivio che non puoi svuotare, una biblioteca che ti tocca in ogni angolo. E io, mi fermo a pensare a questo numero che cresce. Tre. Quattro. Cinque. Dieci. Più aumentano, più il giudizio cresce. Non posso non chiedermi: quante storie ci portiamo dentro? E quante ci definiscono? Eppure, la vera paura non è nel numero. Non è nelle storie che hai vissuto. La paura è nel pensiero che, in qualche modo, gli altri abbiano un numero inferiore. Che il loro cammino sia più breve, più puro. E in quel momento, ti senti quasi colpevole. Come se avessi vissuto troppo, come se quel desiderio che ti ha guidato ti avesse rubato qualcosa. Un peso che cresce senza mai fermarsi. Ma lo so, non posso giudicare me stessa. Eppure, lo faccio comunque. Mi chiedo se sia giusto, se sia abbastanza. Se sono abbastanza per me stessa, se mai lo sarò.

E nonostante questo, qualcosa di inaspettato emerge. Non c’è vergogna, almeno non come me l’aspettavo. Non c’è amore, non per tutti. Ma c’è stata curiosità. Curiosità di scoprire chi fossi attraverso gli altri, di capire fino a che punto fossi disposta a spingermi. Non per amore, ma per necessità. Per sentirmi completa, per capire chi sono veramente. C’è una ribellione nascosta in quel bisogno di scoprire, ma lo so che è solo una scusa. La verità è che l’essere umano è costretto a fare ciò che non vuole ammettere. È nascosto in ogni passo che facciamo, in ogni scelta che facciamo, ma non si può fermare. Non si può scappare. E più vado avanti, più tutto diventa incerto. I corpi si intrecciano, la mente si perde, ma non importa. Non importa più. Perché siamo esseri umani, e siamo prigionieri di ciò che decidiamo di fare. Prigionieri dei nostri desideri, delle nostre paure. Ogni passo è una scelta che non possiamo fermare. Ma che cosa succede quando guardiamo davvero dentro di noi? Quando non siamo più in grado di ignorare ciò che ci spaventa? Quando mettiamo finalmente ordine a ciò che siamo stati? Ogni scelta ci allontana da chi eravamo, ma ci avvicina a chi potremmo essere. Un passo in avanti, ma anche indietro. Eppure, non siamo mai lo stesso. Siamo sempre alla ricerca di qualcosa che non esiste più, una versione di noi stessi che non è più lì, ma che continuiamo a cercare. È come se ogni passo ci avvicinasse a una verità che non possiamo afferrare mai del tutto.

Basta davvero? Cos’è che ci spinge a continuare? A cercare risposte, a fare domande, senza mai trovarle? Cos’è che ci manca, davvero, quando pensiamo di essere arrivati? Quando finalmente crediamo di aver raggiunto un punto di equilibrio, di aver fatto tutto ciò che dovevamo fare? Eppure, c’è sempre qualcosa che ci impedisce di andare oltre. C’è sempre un passo da fare, una verità da cercare. E mi chiedo, cosa ci rende davvero liberi? Forse non è ribellione, forse è solo il bisogno di scoprire, di andare oltre le paure. Eppure, siamo sempre in movimento, sempre alla ricerca, senza mai fermarci. E, forse, in quella ricerca, non c’è mai una fine. Solo un altro inizio, una porta che si apre su una strada mai percorsa, un pensiero che continua a crescere, a evolversi, a moltiplicarsi. E noi, in qualche modo, ci perdiamo sempre, ma non ci fermiamo mai. E la domanda rimane sospesa, come un respiro che non finisce mai.

FACES.
Remember me,
Eclipse

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