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Il peso dell’incertezza

Svegliarsi di notte, nel buio assoluto, non è mai stato solo un ritorno alla coscienza. È come essere inghiottita da un abisso profondo, dove il cuore pulsa con una forza così forte da sembrarmi pronto a scoppiare, ma è più del battito. È un silenzio che perfora la testa, una morsa che stringe la mente senza concederle tregua. La casa è avvolta nel silenzio. Un silenzio che mi risucchia, che mi inghiotte. Non c’è spazio per il pensiero, solo per quella sensazione di essere sospesa, come se fossi a metà strada tra il sogno e la realtà. Ma non posso fermarmi. Non posso restare nel vuoto. Accendo la musica classica, come una coperta calda che prova a scacciare il gelo dell’incertezza, ma la melodia non arriva a colmare il vuoto. È come se la musica fosse solo un’eco di qualcosa che non riesco più a toccare.

Leggo. Un libro su Pitagora, sulla sua concezione della matematica come linguaggio dell’universo. Le sue parole scorrono con una fluidità che mi fa sentire come se il mondo stesse finalmente trovando un ordine, una struttura. Ma poi ci sono quei momenti, quando la lettura si interrompe per un attimo, quando il pensiero inizia a svanire, a perdermi, che mi accorgo che la mente non trova pace. Lui, Pitagora, credeva che la bellezza fosse la stessa cosa della perfezione matematica. Ma cos’è davvero la bellezza? In quella notte senza stelle, nel silenzio che stringe la mente, mi chiedo se davvero esista una bellezza assoluta. O se tutto non sia solo un riflesso di ciò che siamo, un tentativo di trovare un senso dove non ce n’è. Come Leonardo da Vinci, che tracciava curve perfette con la sua mente geniale, ma viveva nel mistero. O forse, nel tentativo di sfuggirvi. La sua ricerca incessante, il suo spirito inquieto, mi affascinano e mi spaventano allo stesso tempo. Un uomo che vedeva il mondo attraverso il prisma della matematica, ma che non riusciva mai a fermarsi.

Sospesa, senza risposte, guardo fuori dalla finestra. La notte è vuota, ma dentro di me la tensione cresce. Cresce con ogni pensiero, con ogni riflessione che non trova una fine. Come se tutto fosse solo un passo in più verso un punto che non arriverà mai, come se ci fosse sempre una parte mancante. Eppure, è proprio in quel vuoto che trovo la mia verità: non c’è mai una fine, mai una risposta definitiva. C’è solo un altro passo da fare, un altro pensiero da esplorare. Un altro respiro. Forse è questa la bellezza di cui parlava Pitagora: non qualcosa di statico, ma un flusso continuo, come la musica che ora mi accompagna, come il pensiero che si fa strada nella mia mente. E come Leonardo, che mai si fermava, ma continuava a cercare, a scrutare l’infinito, senza mai trovarlo del tutto. Forse il mistero è proprio questo: che non c’è mai una risposta completa. C’è solo la domanda che continua a evolversi, a crescere. E la bellezza sta nell’accogliere quella domanda, nel viverla, senza la necessità di risolverla. E allora, che cos’è questa tensione che mi stringe? Forse una domanda senza risposta. E forse è meglio così.

Resilience
Remember me,
Eclipse

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