La giornata è iniziata come sempre, con il suo rumore di passi frettolosi e l’odore del traffico che s’insinua nell’aria, mescolandosi a tutto il resto. Ma oggi, oggi è diverso. Oggi non c’è fretta, non c’è ansia di arrivare, di fare. Oggi non voglio correre, non voglio rincorrere niente. Oggi è come un respiro profondo che non ha fretta di espirare, che si prende il tempo che vuole. Mi alzo lentamente, quasi mi scivola addosso l’idea di una giornata che potrebbe essere qualsiasi cosa, ma che, per un motivo che nemmeno capisco, sento che sarà diversa. Non è la solita routine. Non è il solito giorno. La colazione? Non serve. Non serve al mio stomaco, che comunque si fa sentire, né alla mia mente, che ormai è troppo occupata a cercare qualcos’altro. Quel qualcosa che mi sfugge, che mi chiama, che mi obbliga a stare in piedi e camminare, anche quando non ne ho voglia. Non è la fame fisica che guida i miei passi, ma una fame più grande. Una fame di risposte, di scoprire che cosa c’è dietro tutto questo, dietro questo scorrere senza fine che mi tiene ancorata alla terra. Oggi la mia destinazione non è un luogo fisico. È un luogo dentro di me, dove non ci sono risposte facili, ma solo un’eco di domande.
Il traffico, il caos che mi circonda, diventa come una melodia distante, qualcosa che non mi tocca più, che non riesce a entrare nel mio respiro. La città sembra allontanarsi mentre mi avvicino alla biblioteca. È strano come tutto quello che succede fuori sembri perdere importanza quando si ha un obiettivo che va oltre le cose che si vedono, oltre quello che c’è in superficie. La biblioteca è il mio rifugio, il mio angolo di pace. Lì dentro sento di avere una possibilità di scoprire, di trovare una chiave che apra porte dentro di me. Ma mi fermo, mi chiedo: che ci faccio qui?. Cos’è che sto cercando, veramente?. La domanda scivola via, senza risposte. Non ha bisogno di risposte. Non ancora. Entro, il silenzio mi avvolge. L’odore dei libri, di carta, di storia, mi abbraccia senza fare rumore. Ogni libro qui è una promessa. Ogni scaffale un mondo da esplorare. Eppure, mi rendo conto che non è la lettura in sé che mi fa sentire viva. È la ricerca che c’è dietro, la ricerca che si nasconde tra le righe. Ogni libro è solo un altro frammento, un’altra parte del tutto che non troverò mai, ma che continuerò a cercare. Cammino tra i corridoi, le mani che toccano le copertine, gli occhi che scivolano tra le pagine. Ogni gesto è un passo verso una verità che non esiste, o che forse esiste solo per sfuggirmi.
Mi siedo, finalmente. Lì, tra le parole scritte, mi sento come se avessi trovato un posto dove posso respirare davvero. Le pagine si aprono davanti a me e non sono più solo parole. Ogni frase è una porta che mi apre verso qualcosa di nuovo. Le parole diventano pensieri, pensieri che non sono miei, ma che adesso fanno parte di me. È un flusso continuo che non si ferma mai. Ogni libro è una strada che mi porta dentro me stessa, mi porta dove nessun altro può entrare. Lì, dove il silenzio è più forte e le risposte non arrivano mai, ma ti costringono a cercare sempre di più. Le ore passano. Mi perdo tra le pagine, tra le righe che sembrano sussurrarmi verità che non avevo mai sentito prima. Ma c’è una domanda che non riesco a togliere dalla testa. Una domanda che rimane lì, in sospeso, come un eco che non smette di rimbombare: cosa sto cercando veramente?. Mi fermo. Non so rispondere. E non credo che la risposta arriverà mai. Perché la ricerca, la vera ricerca, non ha mai fine. Non ha risposte definitive. E forse, proprio per questo, è l’unica cosa che vale davvero la pena fare. Il viaggio, il movimento, il cercare. Non la meta. La domanda non smette mai di cambiare, e io non smetto mai di cercare.
Alzo lo sguardo. Fuori, la città sembra lontanissima. È un mondo che scorre, ma io sono ferma qui, nel mio angolo di silenzio. Eppure, c’è ancora quella domanda, quella sensazione che non mi lascia mai. Sarà mai abbastanza, questo silenzio? Il silenzio di oggi, la solitudine di oggi, saranno mai abbastanza per trovare quello che cerco?
THE END.
Remember me,
Eclipse