La Verità e il Dolore
Posted on June 13th, 2003 at 4:51 PM | Tags: Rivelazioni | 0 CommentsC’è una strana bellezza nel mettere insieme le parole. Ma è un potere che costa caro. Non si tratta di esprimersi, ma di essere compresi. In quel momento, sei esposta. Sei vulnerabile. Eppure, nessun altro modo per restare viva. #
Le parole hanno il potere di distruggere o di ricostruire, di sollevare o di abbattere. È la consapevolezza di questo che mi tormenta ogni giorno. Scrivere non è un atto di pura creazione, è anche un atto di sopravvivenza. Scrivo perché non posso fare altro. Ogni parola, ogni frase che compongo, diventa una piccola battaglia con me stessa, un tentativo di tenere la testa sopra l’acqua in un mare di silenzi e incomprensioni. Ma spesso mi chiedo: «Cosa rimane di me quando non ci sono più parole?»
È proprio in questi momenti che mi accorgo di quanto sia fragile il legame che c’è tra un autore e i suoi lettori. La connessione, quel filo invisibile che ci unisce, può essere più forte di quanto sembri, ma anche più effimera. Chi ci legge non è costretto a farlo. Nessuno ti obbliga a soffermarsi sulle parole che hai scritto. Eppure lo fanno, spinti da chissà quale impulso, forse dalla curiosità, forse dal bisogno di comprendere.
Ma in questo gioco c’è una legge non scritta: non puoi forzare chi ti legge a capire davvero. Non puoi pretendere che ogni singola persona si immerga completamente nel tuo mondo. Scrivere non è una garanzia che qualcuno capirà davvero il peso di ciò che hai detto. Eppure, c’è una gratitudine profonda in chi si avvicina, in chi sceglie di rimanere. E questa gratitudine mi riempie e mi svuota allo stesso tempo. Come se, nell’essere letta, trovassi una parte di me stessa che non avrei mai pensato di conoscere.
Mi fermo, riflettendo, chiedendomi: «Ma che cos’è questo bisogno irrefrenabile di scrivere? È davvero solo un atto di solitudine? O forse è qualcosa di più profondo, qualcosa che va oltre l’individuo?»
Il piacere di scrivere nasce, sì, da una forma di autodeterminazione, ma è anche una richiesta d’aiuto. Un tentativo di comprensione. Quando scrivo, mi chiedo sempre se qualcuno, là fuori, sentirà ciò che sento. E se ci sarà qualcuno che, leggendo, capirà che non sto cercando attenzioni, ma piuttosto un incontro, un’unione silenziosa. È un atto di speranza, sebbene nel suo cuore vi sia una verità dolorosa: scrivere è l’unica cosa che posso fare, l’unico strumento che ho per non svanire nell’oblio.
Eppure, questo atto che sembra così intimo, così personale, si espande e si trasforma in qualcosa di universale. Chi legge non è un estraneo. È una parte di me che non conoscevo, ma che adesso esiste. Si è creata una connessione, piccola ma forte, che va oltre le parole stesse. Le parole sono un ponte, non una barriera. Ma quante volte ci siamo fermati a metà, davanti a un abisso che sembra impossibile da colmare?