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Telefonata Silenziosa

PARTE DUE.

Ogni parola sussurrata nel silenzio di una telefonata è un mondo che si rivela. Ogni respiro, ogni singola vibrazione della linea sembra scavare in me, come se volesse strappare via un pezzo della mia pelle, della mia essenza. Un coraggio che non sapevamo di avere si nasconde dietro il tremore delle dita, dietro il battito del cuore che non si ferma mai. È come se il mio corpo sapesse qualcosa che la mente non riesce a comprendere. Eppure, mentre il cellulare vibra nelle mani, non posso fare a meno di sentire quella morsa dentro, quel peso che cresce dentro il petto e mi schiaccia. La chiamata è quella che temo da giorni, quella che mi tormenta anche quando non la aspetto. È quella chiamata che ci spinge, che ci fa inciampare nella realtà, facendoci vedere, forse, qualcosa che non volevamo mai vedere. Non voglio rispondere, non sono pronta. Ma le dita tremano e l’accetto, senza nemmeno pensare. E quando la voce che sento dall’altra parte del filo è così calma, troppo calma, mi perdo in essa. È come un abbraccio che mi arriva, delicato ma così forte. «Ciao» dice, con una dolcezza che mi fa male. Mi fa male perché non mi aspettavo che fosse così, così… vicina. «Come stai?»

Le parole sono come sabbia che mi scivola tra le dita. Non so cosa rispondere, e la verità è che non voglio nemmeno farlo. Ma rispondo lo stesso, senza sapere nemmeno io cosa stia dicendo, cercando di mascherare il vuoto che mi esplode dentro. «Sto…» La voce non mi tradisce, ma la sensazione è quella di una maschera che non riesco più a mantenere. Non ci riesco. Le parole suonano false, come se non appartenessero a me. E lui insiste. Il suo silenzio mi costringe a guardarmi dentro, a cercare una risposta che non trovo. «Felice, triste?» Mi chiede, e quelle parole sono come un coltello che mi affonda nel petto. Come posso spiegargli che non sono né felice né triste? Come posso raccontargli che sono solo vuota? «Sto», ripeto, ma ora quelle tre lettere non significano più niente. Non significano nulla. E il vuoto cresce, prende spazio, divora l’aria che respiro. Poi arriva il silenzio. E il silenzio è la parte che temo di più, quella che mi spinge oltre, che mi costringe a vedere le cose per quello che sono. È il vuoto che ci separa, quello che non riesco a colmare. Lo sento crescere, inesorabile, come una nube oscura sopra di me, sopra la mia testa, sopra la mia anima. E poi lui mi chiede: «Perché piangi?» E la domanda mi arriva come un colpo, come se avessi ricevuto un pugno al cuore. Non voglio che lo sappia. Non voglio che veda la mia fragilità, la mia paura, il mio dolore. Non voglio che veda quanto sono spezzata. Ma la verità è che non posso nasconderla. Non più. Non ora.

«Scusami…» balbetto, ma so che la scusa non basta. Non è mai abbastanza. La verità è che mi sento persa, come se non avessi più un posto dove stare. E mentre il silenzio ci avvolge, sento che è troppo tardi. È troppo tardi per nascondersi, per mentire. E così, senza nemmeno accorgermene, lascio che le parole escano da sole, come se fossero sempre state lì, pronte a scivolare via dalla mia bocca: «Mi importi troppo, ecco.» E lo so, so che quelle parole non erano mai state così vere, mai state così potenti. Mi sento sollevata, ma allo stesso tempo terrorizzata, perché, forse, non è mai stato così difficile dire qualcosa di così semplice. La sua voce dall’altro lato del telefono mi raggiunge, ma è lontana, come se venisse da un altro mondo. «Mi piaci troppo» continuo, senza fermarmi, senza pensarci. Sento la mia voce tremare, ma non riesco a fermarla. Le parole sono come un fiume che scorre, implacabile, e non posso fermarlo. Non posso. E lui, dall’altra parte, sembra ascoltare, ma non so se mi capisce. Non so se riesce a sentire tutto quello che c’è dietro quel semplice “mi piaci troppo.” C’è sempre più di quello che diciamo, c’è sempre qualcosa che rimane nascosto, sepolto nel profondo. Non lo vediamo, ma lo sentiamo.

«Sei così… meraviglioso» continuo, con il cuore che batte più forte. «Ogni volta che sorridi, è come se il mondo fosse più luminoso. Come se tutto fosse possibile.» Ma non sono mai abbastanza queste parole. Non ci sono mai abbastanza parole. E non importa quante ne dica, non riesco a dirgli abbastanza. Non basta mai. La mia voce si perde nel silenzio, e lui non risponde. Non risponde. E quel silenzio pesa più di mille parole, più di mille verità non dette. Mi colpisce, mi schiaccia. Quando finalmente parla, la sua voce non è più così calda, così gentile. È più fredda, più distante. «Non voglio impegnarmi con nessuno, non ora.» E quelle parole mi colpiscono come una pietra, come se avessi ricevuto un pugno al cuore. E mentre le sue parole si allontanano da me, sento quella distanza crescere, inesorabile, tra di noi. La verità mi schiaccia, è tutto lì, nel peso di quella distanza. Non c’è più spazio. Non c’è più tempo.

La chiamata si chiude, ma dentro di me, c’è qualcosa che non si è mai detto. C’è una parte di me che non riuscirò mai ad esprimere, un’urgenza che non posso definire. E mentre appoggio il telefono, tutto intorno sembra fermarsi. Il caffè appena fatto è ormai freddo. L’odore che prima mi dava conforto ora mi sembra solo un ricordo lontano, come se fosse sempre esistito, ma mai per me. Eppure, è lì. È rimasto lì, congelato nel tempo. Ed io, qui, a guardarlo senza riuscire a toccarlo. Mi guardo allo specchio, ma quella che vedo non è la stessa persona che era prima di questa telefonata. È una versione di me che non riconosco più, come se il tempo avesse strappato via una parte di me senza che me ne accorgessi. È come se il mondo fosse andato avanti e io fossi rimasta indietro, bloccata in un momento che non riesco a lasciare andare.

THE END.
Remember me,
Eclipse

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