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Ribellione contro l’ordinario

La scrivania mi osserva con la stessa ostinazione di un avversario che sa di avere il tempo dalla sua parte. Carte impilate come torri instabili, un telefono che vibra senza sosta, schermi luminosi che proiettano il riflesso di un giorno che si consuma senza lasciare tracce. Il caffè, ormai freddo, si trascina dietro il retrogusto di un’illusione di energia, un placebo che illude ma non salva. L’aria è satura di elettricità statica, di decisioni sospese tra un’email inviata e un pensiero interrotto. Il rumore del mondo si insinua da fuori, ma non riesce a scalfire la cappa di silenzio che si posa sulle mie spalle come un macigno. Scorro con lo sguardo l’ennesima pagina, il peso degli impegni si accumula nelle tempie. Il tempo si contrae, si dilata, gioca con la percezione, ma non concede tregua. Un attimo si dissolve nell’attimo successivo senza lasciare memoria. L’inchiostro sulle carte si confonde con la trama del giorno, un reticolo di doveri che non conosce pause. La penna graffia la superficie del foglio, un suono che si mescola al ticchettio dell’orologio. Ogni firma è un passo in avanti, ma anche un peso che si aggiunge, un nodo che stringe anziché sciogliere. Il lavoro si accumula come neve pesante su un tetto troppo fragile, pronto a cedere sotto il suo stesso peso.

Alzo lo sguardo verso la finestra. Il cielo è un telo grigio, senza aperture, senza promesse. Una goccia di pioggia scivola lungo il vetro, tracciando una linea storta, una crepa nella perfezione dell’indistinto. La osservo mentre scivola verso il basso, lasciando dietro di sé una scia sottile, un percorso che non verrà mai ripetuto allo stesso modo. C’è qualcosa di terribilmente umano in quel movimento: la lotta contro la gravità, contro l’inevitabile, contro il tempo. Un istante di esitazione, poi la goccia si dissolve nell’invisibile, sparisce senza lasciare traccia. Chiudo gli occhi un momento. Respiro. Uno. Due. Tre. Il battito nel petto si sincronizza con il rumore ovattato della pioggia, con il suono lontano della città che scorre senza di me. Il mondo non si fermerà se chiudo un file con un minuto di ritardo. Il mondo non imploderà se una scadenza salta di un giorno. Eppure, ogni azione sembra un tassello indispensabile, un ingranaggio che non può permettersi di incepparsi. Il paradosso è che corriamo senza sapere esattamente per cosa. Che lottiamo come se il tempo fosse un nemico, mentre lui non ci osserva neppure. Esiste e basta. Siamo noi a rincorrerlo, a misurarlo, a dargli un peso che lui non ha mai chiesto di avere. Apro gli occhi. La stanza è esattamente come prima, ma qualcosa dentro si è spostato, impercettibile. Prendo la penna e firmo l’ultimo documento della giornata. Il caffè ormai è diventato un piccolo specchio scuro nel fondo della tazza. Il caos della scrivania è immutato, ma ora lo guardo con altri occhi. Ogni foglio, ogni oggetto, è un testimone muto della battaglia di oggi. Il disordine non è solo il segno del lavoro svolto, è anche la prova di un’esistenza che scorre, di una lotta che ha senso solo finché decido io di dargliene.

Mi alzo dalla sedia. Il corpo protesta, le spalle rigide, i muscoli tesi. Passo una mano tra i capelli, un gesto istintivo, un piccolo ritorno alla fisicità che spesso dimentico tra le ore passate davanti agli schermi. Resto immobile un istante, la finestra davanti a me, il riflesso vago della mia figura che si mescola con la pioggia. Il cielo continua a essere grigio, la goccia che avevo seguito è scomparsa, ma nuove ne stanno prendendo il suo posto, tracciando percorsi sempre diversi, sempre uguali. Un movimento perpetuo, una danza senza spettatori. Lascio la stanza con il suono dei miei passi che rimbomba nel silenzio. Chiudo la porta dietro di me, ma so che non si è chiusa davvero. Nulla si chiude mai del tutto. Ogni giornata che finisce lascia un’eco, un frammento che continua a vivere nel giorno successivo, nel respiro successivo. Non esiste una fine, solo un ciclo che si ripete, con variazioni infinitesimali, con dettagli che cambiano appena. La scrivania sarà ancora lì domani, i fogli si accumuleranno di nuovo, il tempo continuerà a scorrere senza aspettare nessuno. E io? Io ci sarò ancora, con una penna in mano, con uno sguardo che cerca di cogliere ciò che sfugge. Con la consapevolezza che non esiste tregua, ma solo attimi sospesi.

La porta si chiude. Ma non si chiude mai davvero.

The End.
• Remember me,
• Eclipse •

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