C’è una bellezza nascosta nella consapevolezza che nulla dura per sempre. È una fragilità che ci attraversa senza preavviso, che affiora nei dettagli che non vogliamo guardare ma che ci imprigionano, ci inchiodano al presente. Le cose, le persone, i momenti… Tutto è destinato a cambiare, eppure è proprio in quella transitorietà che risiede il valore di ogni istante. La permanenza non ci dà la forza. È la consapevolezza della fine, quella, sì, che ci fa sentire vivi. Non è la durata di un incontro che ci definisce, ma l’intensità di ciò che viviamo in quell’istante che sa di essere destinato a finire. È solo così che possiamo assaporare la bellezza, perché sappiamo che tutto ciò che amiamo svanirà. Oggi mi ritrovo in un luogo che pensavo di aver dimenticato. Un luogo che, come una cicatrice sulla pelle, non smette mai di essere presente, anche quando sembra essersi cancellato. Sto tornando indietro nel tempo, facendo un pellegrinaggio silenzioso nel passato. Non è il desiderio di rivivere ciò che è stato a muovermi, non c’è nostalgia nel mio cuore. È piuttosto la consapevolezza che certi luoghi, certi volti, certi odori, sono parte di me in modo indelebile. Come la pelle che si adatta al freddo e al caldo, come il respiro che non ha paura di esistere. Il passato è sempre presente, non ci abbandona mai. Quando la porta si è aperta, il cigolio mi ha riportato ad un tempo che pensavo di aver perduto. Eppure, l’aria era la stessa, quella che respiravo quando non avevo paura di sentire, quando tutto era più facile, più leggero. La casa è cambiata, i volti sono cambiati, ma qualcosa è rimasto immutato: la sensazione di essere a casa. E. e T., i miei compagni di un tempo, mi hanno accolto con gli stessi abbracci che portano con sé tutta la dolcezza di un amore che non ha mai smesso di esistere. La sala giochi, immutata, mi ha riportato a quei giorni in cui il tempo sembrava fermarsi, come se fosse possibile restare sospesi in quel presente che non voleva finire mai. Le scritte sui muri erano ancora lì, quelle tracce di noi, di chi eravamo e di ciò che abbiamo lasciato nel nostro passaggio. Non c’era più il rumore della giovinezza, ma la memoria di quella spensieratezza era impressa in ogni angolo.
Poi, quando ho visto A. e A., è stato come attraversare un confine che pensavo di non voler oltrepassare. Ma i loro sorrisi, nonostante il tempo che ci ha separato, mi hanno travolto come un fiume in piena. C’era ancora qualcosa di noi, di quella luce che avevamo, anche se tutto intorno a noi era cambiato. E poi c’era J., il sorriso contagioso che non smetteva mai di brillare. Ma non era solo la sua gioia che mi toccava. Era il ricordo di S., di un amore che non c’è più, di un passato che aleggiava nell’aria come una presenza invisibile. Mi hanno parlato di lui, di come fosse cambiato, di come avesse perso la sua strada. Il S. che conoscevo non esisteva più. Mi è sembrato di toccare una ferita che pensavo fosse guarita, di sentire il dolore di un amore che non smette di bruciare. Quella ferita che non guarisce mai. Eppure, il mio cuore è ancora lì, con lui, con tutti noi. Ogni risata, ogni segreto, ogni promessa fatta. Non riesco a dimenticarlo. Come si fa a dimenticare qualcosa che ti ha fatto sentire viva? Eppure, è tutto un paradosso, non c’è una risposta, non ci può essere. Il tempo ci separa, eppure il cuore sa riconoscere i legami che pensiamo di aver spezzato. S., con la sua luce che ora sembra affievolirsi, è rimasto un pezzo di me, di quella storia che non voglio dimenticare. È come un eco che non smette mai di suonare, come se la sua presenza non fosse mai davvero andata via. Eppure, non posso fare a meno di chiedermi: dopo tutto questo, c’è davvero un modo per tornare indietro? C’è davvero una via per recuperare ciò che è stato perso? Ma forse la domanda è diversa: forse non dobbiamo tornare indietro, perché il passato ci porta con sé, ci definisce senza che ce ne accorgiamo. Non possiamo sfuggirgli, perché siamo condannati a portare con noi ciò che non possiamo cambiare. Guardando fuori dalla finestra del vecchio posto, vedo il tramonto che si stende come un velo di luce dorata sulle strade che ho percorso mille volte. Una luce calda, come quella che promette l’eternità. Ma poi, in un battito di ciglia, quella luce svanisce, lasciando spazio alla notte che si fa strada, inesorabile, come il tempo che non si ferma mai. Così è la vita. Noi possiamo solo vivere l’attimo, ma il tempo, come la luce, scivola via, ci scivola dalle mani. È il respiro che trattiene il mondo in un istante che è già passato prima che possiamo afferrarlo.
Perché ci ostiniamo a cercare di fermare qualcosa che è destinato a svanire? Siamo davvero in grado di trattenere un momento, o è il momento che trattiene noi? La canzone che ha accompagnato il mio arrivo in quel luogo, nella mia memoria che non smette mai di suonare, è ancora lì, sospesa, come il ricordo che non finisce mai di bruciare. Ricky Le Roy e Franchino, I will find you. Ogni parola, ogni battito, è come una melodia che risuona nelle pieghe della mia anima, un riflesso di un tempo che, pur perduto, è ancora presente. E così la musica non smette di suonare, come un ciclo che non si ferma, un ricordo che non smette di tornare.
THE END.
Remember me,
Eclipse