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La luce oltre l’ombra

Certe mattine arrivano come una ferita che non sanguina, ma pulsa. Ti svegli e non sai se sei ancora viva o solo intrappolata in un corpo che fa finta di esserlo. Il sole filtra piano tra le tende, disegna linee sottili sulla parete scrostata della cucina, e tu lo guardi senza sapere se lo odi o se ti salva. È così che comincia, ogni volta, il pensiero della rinascita. Non come un inno sacro, non come una preghiera sussurrata tra i banchi vuoti di una chiesa dimenticata. Ma come un urlo sommesso che si fa spazio tra il profumo del caffè e l’odore stanco delle arance tagliate a metà sul tavolo. Le arance, con quella loro carne umida e sanguigna, sembrano il cuore di qualcosa che ho perduto. Il coltello le ha divise come certe parole dividono la carne dall’anima. E io respiro quel profumo come se fosse un’esca, una via d’uscita dal gelo che mi porto addosso. Non so cosa significhi credere davvero, ma so cosa vuol dire doverlo fare per restare a galla. So cosa vuol dire cercare una resurrezione che non è promessa, ma necessità. Il cucchiaino sbatte contro la ceramica con una ripetizione stanca, quasi rituale. Non c’è preghiera nel mio gesto, solo abitudine. Ma a volte l’abitudine è l’unica cosa che ci tiene in piedi quando ogni altra struttura crolla. Il cielo fuori è grigio, ma in quel grigio c’è qualcosa di vivo. Un passero si posa su un ramo nudo, vibra di un canto che non chiede ascolto. E io lo sento come una lama: perché anche quando sono a pezzi, continuo a cantare. Non per farmi sentire. Ma per ricordarmi che posso farlo.

C’è un ricordo che torna sempre. Il giardino di mia nonna, l’erba bagnata sotto i piedi nudi, il cuore che batteva più forte solo perché era primavera. Le uova di cioccolato nascoste tra i cespugli, la voce di mio padre che mi diceva di cercare anche quelle che non si vedono. Quelle parole non sono mai andate via. Si sono incastrate in me come spine dolci, come semi che germogliano quando meno me lo aspetto. Cercare ciò che non si vede. Sperare anche quando le mani restano vuote. Oggi quel giardino non c’è più. Forse non c’è mai stato davvero, o forse l’ho lasciato indietro come si lasciano indietro certe parti di sé quando fanno troppo male per essere tenute vicine. Oggi c’è solo questa stanza, questo silenzio che vibra tra le pareti, questi pensieri che si muovono come ombre sotto pelle. Mi tolgo di dosso ciò che non serve, ma resta sempre qualcosa che si incolla, che non si stacca. È la paura che non ha volto ma ha radici, che si aggrappa e ti impedisce di volare. Ma si può rinascere anche con le radici inchiodate al passato. Si può rinascere in silenzio, mentre nessuno guarda, mentre il mondo continua a girare con la sua indifferenza spietata. Non serve un miracolo, non serve una luce improvvisa. A volte basta un respiro profondo, uno solo, che non chieda permesso. Un passo in avanti senza sapere dove porta. Una scelta. Perché rinascere non è un dono concesso a pochi. È una scelta quotidiana, sporca, stanca. Una ferita che si riapre ogni volta, ma che non smette di guarire.

Rinascere è lasciarsi dietro le ceneri senza sapere se ci sarà un fuoco nuovo ad accoglierci. È camminare tra ciò che è bruciato e continuare a camminare, anche se il fumo ci acceca. È perdonare ciò che ci ha ferito, anche se non lo merita. È perdonarsi per aver permesso che accadesse. E farlo non perché siamo buoni, ma perché non vogliamo restare prigionieri. Il perdono è una porta che si apre solo dall’interno. E a volte resta chiusa per anni. Altre volte basta un soffio per spalancarla. Non ci sono più uova nascoste oggi. Solo pensieri. Solo memoria e desiderio. Ma cerco lo stesso. Anche ciò che non vedo. Anche ciò che forse non c’è. E in questa ricerca senza fine, trovo qualcosa che assomiglia alla vita. Non una vita perfetta. Non una vita risolta. Ma una vita che continua. Che si muove. Che respira. Ed è abbastanza. Per ora, è abbastanza. Il tempo non aspetta. Né io lo aspetto più. Scelgo di muovermi con lui, anche se a volte inciampo, anche se spesso cado. Ogni caduta è un promemoria. Ogni risalita, un atto di resistenza. Rinascere è questo. Non un’esplosione di luce, ma una lenta, ostinata, continua fioritura. Anche in mezzo al cemento. Anche sotto la pioggia. Anche quando nessuno guarda. E il mio passo, ora, non è leggero. Ma è mio. E questo basta a renderlo vero.

The End.
• remember me,
Eclipse •

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