
Sfumature intime
Posted on March 22nd, 2025 / Estetica / 0 CommentsC’è ancora un sottile tepore che mi resta addosso, come un velo invisibile, come un eco che non vuole svanire. Ho lasciato le strade di Amsterdam con la stessa lentezza con cui si chiude un libro a cui si è legati troppo. Il giorno è stato un abbraccio gentile, uno di quelli che restano nella pelle anche dopo che le braccia si sciolgono. Una tappa in libreria, tra pagine dense di scienza e visioni, parole che sembrano parlare di me mentre parlano del mondo. Un libro stretto tra le dita, e poi un tea caldo all’arancia e rosmarino a scaldarmi i pensieri. La sauna ha sciolto le ultime tensioni, ha trasformato il mio corpo in un tempio silenzioso, dove il respiro diventava preghiera. Ho dedicato ogni gesto alla cura, senza urgenza, senza distrazioni. Solo io, solo il mio tempo, solo il mio ritmo. Ora sono tornata a casa, e non ho voluto lasciare andare quella sensazione. Ho chiuso la porta lentamente, come per trattenere ancora qualcosa del calore di fuori, e mi sono guardata nello specchio come se vedessi un riflesso nuovo, più intimo, più mio. Ho preso il colore, l’ho steso tra le ciocche con movimenti lenti, quasi rituali. Cioccolato caldo. Un marrone pieno, profondo, con riflessi che cambiano sotto la luce, che giocano tra il rosso e il miele, che accarezzano le curve del volto con una dolcezza feroce. L’ho lasciato agire mentre il silenzio si faceva più denso, più intimo, come se ogni secondo si fosse dilatato per lasciarmi spazio.
Mi sono spogliata dei rumori, dei pensieri che ancora bussavano, e ho lasciato che l’acqua bollente diventasse il mio rifugio. La doccia è un luogo dove tutto può dissolversi. La fragranza alle rose si è aperta nell’aria come un ricordo remoto, familiare e carnale, qualcosa che non so definire ma che riconosco in ogni cellula. Le gocce calde scivolavano sulla pelle come dita leggere, come parole che non servono dire. Mi sono lasciata andare, senza resistere, senza tenere nulla in piedi che non fosse necessario. Poi ho indossato quel pigiama di Hello Kitty preso in Giappone, così comodo da sembrare un abbraccio d’infanzia. Il tessuto si è adattato al mio corpo come se mi conoscesse da sempre, come se sapesse esattamente dove posarsi. La leggerezza di quei gesti mi ha portata fin qui, davanti al pc, con un tea alle rose tra le mani, mentre il vapore si dissolve in volute leggere che si intrecciano con i miei pensieri.
Tutto si fa ovattato. I rumori della città sembrano lontani, come filtrati da un altro tempo. La luce della lampada accarezza i bordi del mio viso e li rende più morbidi, più umani. Il colore tra i capelli si è trasformato in una sfumatura che racconta qualcosa che non avevo ancora saputo dire. C’è qualcosa di nuovo, qualcosa che non ha nome ma che sento. Ogni dettaglio sembra avere un peso diverso ora. Le mani che si muovono sui tasti, le ciglia che sfiorano lo sguardo, le ginocchia piegate sul divano come se stessero ascoltando. Anche il corpo si fa parola, anche il silenzio si fa corpo. C’è qualcosa in questa sera che mi scava dentro. Non è malinconia, non è gioia. È una sospensione, un filo teso tra quello che sono e quello che ancora non so. Un vuoto lieve, necessario, fertile. La stanza diventa un luogo sospeso, un altare senza religione. E mentre bevo lentamente il mio tea, sento che ogni sorso mi riporta a me stessa, come se ogni aroma scavasse nella memoria di qualcosa che non ho ancora vissuto. I capelli ancora umidi raccontano il passaggio del tempo, eppure il tempo qui non esiste più.
C’è solo questo momento. Questo respiro. Questa temperatura. Le pareti sembrano respirare con me, il mondo si ritira, si piega in un angolo, lascia spazio. Il cuore batte in silenzio, ma c’è una musica sotterranea che accompagna ogni gesto, ogni pausa, ogni assenza. Non c’è più distinzione tra ciò che è fuori e ciò che è dentro. Tutto scorre, si mescola, si trasforma. I pensieri non si afferrano più, si lasciano scivolare, si attraversano come ombre sul muro. Il mio volto riflesso nel vetro dice più di quanto io riesca a dire. Le pupille sono più scure, i contorni più morbidi. Il colore cioccolato ha portato con sé un frammento di identità che non avevo ancora conosciuto. Sento ancora l’odore della crema che ho passato sulle braccia, il profumo delle rose che persiste nei capelli, quel leggero pizzicore sulla pelle che resta dopo il calore dell’acqua. Ogni cosa è ancora viva, presente, irripetibile. Eppure già si dissolve. Come sempre. Ma non sparisce, non del tutto. Resta una scia. Un’impronta invisibile. Una memoria che non si cancella, ma che non si può toccare. Il pc acceso, le luci basse, il calore del tea tra le mani, le dita ancora umide, il pigiama che aderisce come una seconda pelle. Tutto è qui, tutto è passato, tutto è ancora. E mentre scrivo queste righe, non sto raccontando. Sto vivendo. Sto lasciando che ciò che sento prenda forma, che ciò che sono diventi parola, che il mio corpo diventi frase, che il mio respiro diventi ritmo.
Non c’è narrazione, c’è presenza. Non c’è messaggio, c’è carne. Non c’è trama, c’è materia. E in questa materia ci sono io, ci sono adesso, c’è qualcosa che scorre e non si ferma. Il giorno non è finito. Nemmeno la notte è cominciata. È solo un passaggio. Un respiro lungo. Una soglia. Un’eco che resta. Una porta che sembrava chiudersi, ma resta socchiusa. Un battito che non si spegne.